CUBA, Amo esta Isla…soy del Caribe

L’audiovisivo “Cuba, Amo Esta Isla” (online in youtube) è un omaggio al popolo e alla cultura cubana e non è una adesione al sistema politico del Paese. Un potpourri di immagini e suoni dell’Isla Grande di Gianfry Grilli

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Melingo rilegge il tango

7. agosto 2010 – 23:003 Comments
Melingo rilegge il tango

… e ha cambiato il proprio look. Si è accorciato i capelli, indossa abiti scuri, aria esistenzialista. Non per nulla. Messi alle spalle, ma non abbandonati, rock e jeans è diventato un grande interprete del tango.

E’ considerato il moderno ambasciatore del tango-canción, il genere inventato da Carlos Gardel. In principio fu il rock a dominare la sua vita musicale tra Argentina ed Europa. Ma la sua vera realizzazione artistica avvenne dieci anni fa con il sound rioplatense del tango. Con una voce speciale – è un basso – un registro profondo, virile, un po’ Tom Waits e un po’ Nick Cave, Melingo ci racconta il suo tragitto artistico, tra bandoneón, clarinetto, chitarra, rock, tango, milonga, lunfardo, poesia, teatro, passato e presente.E ci parla anche dei suoi preferiti. Ecco la conversazione raccolta in occasione del concerto che ha tenuto alla Salumeria della Musica di Milano per presentare l’ultimo album Maldito Tango (Mañana- Naïve).

Possiamo cominciare con una sintetica carta d’identità?

Vivo nel barrio Villa Ortúzar di Buenos Aires dove nacqui nel 1957. Tra i miei antenati anche italiani e quindi parlo un po’ la tua lingua.Questo è il mio piccolo albero genealogico: Daniel Melingo, figlio di Leonida Melingo e Thelma Silva; i miei nonni paterni sono Pietro Melingo di Salonicco (Grecia) e  Marcella Forza di Trieste che arrivò a Buenos Aires nel 1927. La nonna da giovane era cantante soprano della Scala di Milano, mio nonno era violinista; mio padre Leonida era un attore-cantante di teatro. Dal lato materno, i Silva erano tutti creoli – una mistura di africani e aborigeni – che vivevano nel Parque de Los Patricios (un sobborgo tanguero) e si dedicavano a scrivere testi e musiche di tango e milongueros, e poi erano ballerini.I miei primi passi nella musica furono stimolati da mio patrigno (era rappresentante di Edmundo Rivero, un gran cantante di tango) che mi regalò un bandoneón, il mio primo strumento all’età di 13 anni, e così cominciarono i miei studi musicali. A 15 anni entro al Conservatorio nazionale per studiare clarinetto con il professore Filotete Martorella, un’autorità dello strumento, a 18 mi iscrivo all’Università di Musica per studiare composizione e orchestrazione. In sintesi: suono bandoneón, clarinetto, piano, chitarra; nei concerti utilizzo clarinetto, chitarra e canto.

Riassumendo, hai fatto studi di tipo classico, di tango e, se ho letto bene da un tuo profilo, attorno ai 20 anni ti avvicini al rock, acquisisci dimestichezza con questo linguaggio che ti fa entrare sulla scena nazionale e internazionale dove si muovono grandi protagonisti. Stai dentro questo casa per molti anni e poi un cambio e ritorni alle tradizioni rioplatensi. Eri stanco di rock o cosa d’altro è successo?

No, ero dominato dall’inquietudine di trovare un ruolo da protagonista di primissimo piano, cosa che non è avvenuta nel rock dove ero coautore, o membro di gruppi per accompagnare solisti, oppure producevo artisticamente in studio. Quindi, ripeto, ero in cerca di una nuova identità musicale, e dopo aver transitato per molti stili, classica, rock, jazz e dopo essere vissuto dieci anni in Europa (1986-1996) ci fu una svolta-ritorno con il tango canción.

Cioè?

Ritorno a Buenos Aires e riscopro il tango che ho nel sangue (si trattava solo di riprendere la tecnica) e che avevo studiato in gioventù con la musica classica. Realizzai così il mio primo disco da solista con il tango. Era il 1998 e raggiunsi il mio obiettivo artistico come solista.

Prima di parlare di tango, mi fai un breve ritratto del rock argentino anni Ottanta e magari qualche accenno all’oggi?

C’era il Movimento del rock nazionale a cui aderivano molte band tra cui il gruppo Sumo la cui storia è vincolata al frontman italiano Luca Prodán, (NdA: un mito della cultura rock in Argentina anni ‘80-’90. Nato a Roma nel 1953, ha vissuto in Inghilterra, testimone del movimento punk e dell’influenza musicale giamaicana a Londra. Nel 1981 si stabilisce in Argentina, dove muore nel 1987. Fonte: Astrolabio rivista argentina del Centro de Estudios Avanzados de la Universidad Nacional de Córdoba). Ho suonato con varie formazioni tra cui Los Abuelos de la Nada, Los Twist, Charly García, Fito Paez, e il rock di quegli anni era una miscela di latinrock, anglorock, reggae, jazz. Dopo venticinque anni la situazione è un po’ diversa. Comunque, per quel che mi riguarda, io coltivo l’attività tanguera e allo stesso tempo continuo a produrre canzoni rock: la mia vita è ancora radicata nell’ambiente rock, i miei amici più importanti stanno lì.

C’è un trait d’union tra rock e tango?

Il mio lavoro, assieme ad altri, è proprio quello di trovare un punto d’incontro tra le due forme. Nel 1996 convocai in un programma tv grandi protagonisti del rock come Fito Páez, Andrés Calamaro ecc. a cantare tango. E questo produsse effetti importantissimi: da lì i giovani del rock vedendo i loro idoli interpretare il tango incominciarono a seguirli su questo terreno, ritenuto fino a quel momento roba vecchia, da museo. Oggi c’è questa positiva convivenza. Un rockero può fare tango, mentre non so se vale il discorso inverso perchè il tanguero è più radicale, comunque va bene. Inoltre bisogna dire che i tangueros anziani, diversamente da prima, hanno cominciato a vedere di buon occhio il rock e si è creato un ponte molto solido tra rock e tango. E oggi c’è una base massiccia di tango nel rock argentino, soprattutto di tipo filosofico e nei testi delle canzoni.

Parliamo di Tango. Puoi farci un piccolo affresco di quest’espressione, raccontandoci anche se il tuo tango canta ai vincenti o ai perdenti della società, se è una musica politica. In breve, cos’é?

Il tango è un gran sentimento che abbraccia musica, ballo, poesia, filosofia e maniera di vivere. E’ la storia del vivere quotidiano. La figura principale è Carlos Gardel, l’inventore del tango canción, la forma che io cerco di rinnovare; altri riferimenti fondamentali per me sono Edmundo Rivero, il principale, e Roberto Goyaneche. Personalmente con il tango-canción canto ai perdenti, alla gente che non ha avuto fortuna, è una musica per definizione nostalgica. Politica? Tutto è politica, ma io non parlo di politica nella musica, la faccio; la mia canzone è cronaca, non critica, e nel raccontare cerco di combinare dramma, commedia e istrionismo. Ma uno spettacolo dal vivo vale molto di più di tante parole per descrivere il mio tango.

Secondo te, sono i fattori geografici e climatici (porto ,mare, postriboli, caffè, taverne in parte presenti anche a New Orleans al sorgere del primo jazz) che influiscono psicologicamente sullo spirito del tango o quest’ultimo dipende più dal vivere tra difficoltà, povertà, crisi, emarginati e disoccupazione?

Credo che influisce un po’ tutto quello che hai citato, ma anche l’immigrazione, perchè il tango è una forma nata dall’incontro di immigrati, tra cui moltissimi italiani, spagnoli, europei, africani, asiatici ecc., con gli aborigeni delle campagne arrivati nei sobborghi poveri di Buenos Aires. E’ lì che iniziò il tango e oggi lo troviamo sempre in quei luoghi nonostante venga considerato un fenomeno di città. Inoltre, posso dire che i fattori geografico-politico-migratori continuano ad incidere ancora oggi sulla canzone-tango.

Parlaci brevemente del principale complice del tango, il lunfardo, lingua popolare doc di Buenos Aires che penetra nell’ambiente tanguero – adulto e più ‘malavitoso’ – e, se non erro, anche nell’underground alternativo e giovanile.

Il tango inizia con il lunfardo – l’argot con cui si scrive il tango composto da vocaboli provenienti da molti idiomi (nda: italiano, dialetti italiani, calò spagnolo, portoghese, inglese, lingue indigene come guaranì). Cominciò come linguaggio carcerario, modo di comunicare occulto tra detenuti ed emarginati, poi si è diffuso tra la gente comune attorno agli anni Quaranta e infine si è trasformato in uno stile letterario, poetico. Da notare che ora è usato in ogni contesto sociale. Infatti, il lunfardo fu accettato dalla società borghese argentina dopo la consacrazione universale del tango avvenuta all’inizio del secolo scorso a Parigi, che è la seconda capitale storica del tango. Fino a quel momento a Buenos Aires il lunfardo era un fenomeno marginale, dei bassifondi, rifiutato dall’establishment.

In cosa consiste il tuo apporto al rinnovamento del tango cantato?

Io cerco di sviluppare la mia personalità scrivendo musica e  parole  per questo genere e vorrei dare una mia visione attuale del tango canción,  ma sempre sulla traiettoria del suo ideatore Carlos Gardel. Parto dagli elementi che lui usava ottant’anni fa e li integro con altri fattori e anche sonorità diverse come quelle di trombone, clarinetto che si mescolano a quelli classici del tango: chitarra, violino, bandoneon, contrabbasso.

Nel tango è necessario saper improvvisare, come fanno decimista o payador argentino, o è già tutto previsto?

Non è tradizione improvvisare parole nel tango. Il testo è tutto scritto diversamente dal canto del payador, il cantastorie del folklore, o del decimista. Nella parte strumentale del mio tango canción io ci metto una piccola quota di improvvisazione che traggo da jazz e rock.

Carlitos Gardel, El Morocho, è sicuramente stato il più grande interprete del tango, avendolo vissuto anche come stile di vita, frequentando taverne, postriboli, quell’ambiente che poi ha rappresentato sugli scenari del mondo. Per certi aspetti è un’esperienza quasi simile a quella vissuta dai bluesmen con il blues. Anche per te c’è immedesimazione totale o solo una relazione di tipo artistico con il tango, ce ne parli?

Secondo me Gardel esagerò l’icona del porteño e del tanguero. Essendo straniero – infatti arrivò piccolissimo in Argentina  dalla natia  Tolosa, Francia – visse il fenomeno in maniera iperrealistica dando origine all’immagine del tanguero tipico di Buenos Aires. Morì nel 1935 e l’unica cosa certa è la sua opera, la sua musica, della sua vita si parla molto ma si sa poco e allora bisogna andar cauti perchè sono pochissimi coloro che l’hanno conosciuto personalmente e c’è tanta gente che specula. Per quel che mi riguarda, io vivo il tango in senso artistico, e ora cerco di combinare aspetti del rock, del tango e del teatro dentro la mia opera.

Quindi non c’è stato l’abbandono del rock per il tango?

No, possiamo dire che è la coniugazione delle due forme.

Parliamo di dischi. Quattro sono gli album di tango pubblicati finora. Il penultimo è stato ‘Santa Milonga’ (2004) con il quale adori la milonga, mentre ora sembri maledire il tango con il nuovo album, appunto Maldito Tango’. Puoi spiegarci?

No, è solo un gioco di parole. In realtà si tratta di una bella coppia dove cerco di far convivere il bene e il male della vita. Permettimi di ricordare le mie produzioni tanguere: Tango Bajo (1998), Ufa (2003), poi i citati Santa Milonga, una compilation ricavata da tre dischi, pubblicato dalla label francese Mañana/Naive e sempre per la stessa discografica Maldito Tango, cd freschissimo di stampa con 11 canzoni originali.

Tu sei il nuovo cantore del tango-canción, che interpreta il dolore, le tristezze della vita con toni laceranti, con un po’ di quello spirito ‘maledetto’ francese, ma anche antiborghese e scandalistico del movimento artistico-letterario della Scapigliatura ( ben ancorato a Milano dove suoni oggi). E’ questo che esprimi anche nel nuovo album Maldito Tango?

Non conosco il movimento della Scapigliatura, ma gli ingredienti citati e quello spirito sono nel mio ultimo album che ha lo scopo di voler mettere in mostra i nostri poeti lunfardos un po’ dimenticati nel resto del mondo. Ho creato un parallelo tra i poeti ‘maledetti’ francesi e quelli lunfardos, i poeti argentini della malavita che cantano contro l’establishment, la borghesia. Tra i ‘maledetti’ di cui ho musicato le opere in Maldito Tango ci sono Celedonio Flores, Carlos de la Púa, Dante A. Linyera, e, l’unico vivente di questo gruppo, il dott. Luis Alposta, settantenne, medico.

01 En un bondi color humo Il brano n.1, El bondi, è un testo tra serio e faceto, con un taglio teatrale che inquadra un borsaiolo in un ambiente particolare, un paesaggio….

Parla di un furto, della quotidianità che si vive oggi a Buenos Aires, fotografa il borsaiolo (realtà che esiste anche qui in Italia ). Il bondi, che in lunfardo vuol dire bus, è il palcoscenico, un bus elettrico color argentato dove si svolge la scena che descrivo. In questa canzone come nelle altre troviamo istrionismo, teatralità, commedia e dramma miscelati. L’essenza del tango-canzone.

Ma la strumentazione impiegata, i violini che dialogano con sassofoni a tempo di r&b, il canto antifonale e, nel finale, gli accenni di rumba cantata con quel ‘trequetén contin / panka tun’, sono tutte entità tradizionali del tango canción o c’è un rinnovamento?

Nelle mie canzoni-tango ci sono un po’ tutte le culture musicali che convivono a Buenos Aires, incluse musica klezmer e tzigana. Quello che hai elencato è ciò che io ho assorbito nel corso degli anni e che mescolo con il tango; in fondo continuo la pratica del rock che è quella di miscelare stili, di rinnovare. Il riferimento rumbero? Si tratta di un africanismo che ho osato mettere con l’aiuto del maestro Juan Carlos Caceres, il teorico del tango negro che ha collaborato suonando anche il trombone in questo progetto, che è stato registrato tra Buenos Aires e Parigi.

Eco il Mondo, la traccia n. 11, più che tango mi sembra un pezzo di jazz contemporaneo, che attraversa sonorità tradizionali di New Orleans (con citazione del lamento della musica dei funerali) fino all’avantgarde. E’ corretto o solo una mia percezione?

Non ti sbagli, infatti è una specie di requiem dedicata a un poeta maledetto colombiano che si suicidò a Buenos Aires: Claudio De Alas (nda- pseudonimo di Jorge Escobar Uribe, 1886-1918). Questo è un sonetto che termina dicendo “con dos cocotes, -borrachas y desnudas-

se murió dando besos y bebiendo champán… “, morì in un ristorante baciando due donne nude e bevendo champagne.

Questo riferimento alla Colombia mi permette di ricordare che nel barrio Manrique di Medellín, c’è la Casa Museo Gardeliana….

E’ vero e i colombiani amano il nostro Gardel che nel 1935 morì proprio in quella città. Tutti gli anni in giugno si tiene la settimana Gardeliana per l’anniversario della scomparsa di questo artista e quest’anno al termine della tournèe parteciperò a questo evento, dove presenziai anche nel 2007.

Come inno musicale rioplatense, quale preferisci tra la La Cumparsita, El Choclo, A Media Luz e Caminito?

Ognuno ha il suo inno, per me è La Cumparsita, che considero il tango dei tanghi, anche se è uruguaiano. Io non faccio discriminazioni, non guardo alla bandiera ma alla musica, e dico questo perchè c’è polemica in Argentina e molta gente preferisce El Choclo e Caminito. Ma ripeto, io sto con La Cumparsita, brano originale strumentale di Matos Rodriguez senza testo, e dello stesso autore c’è una versione con le parole; poi esiste anche quella cantata da Gardel con altro testo e si chiama Si Supieras.

Il tango è interpretato da molti uomini e poche donne, è così?

No, le donne sono ben rappresentate, ci sono molte voci femminili che interpretano il tango. Possiamo ricordare la grandissima cantante Tita Merello (1904-2002), che fu anche attrice, drammaturga e tracciò la linea delle cantanti di tango.

Nel campo del rock quali sono le tue produzioni discografiche?

Come solista ho fatto un album, H2O (1996) una fusion di rock/reggae, mentre ho inciso cd con altri gruppi.

Tra i prossimi progetti futuri, c’è tango, rock o jazz?

Per la verità – ma è ancora solo un’idea – mi piacerebbe pensare a qualcosa sulla canzone greca, alla musica rebetika… però ora devo dedicarmi a Maldito Tango.

Per concludere, due parole sulla musica latinoamericana, salsa, latinjazz. Qualche sfumatura di queste musiche l’ho sentita anche nel disco, ma qual è la tua preferita?

Il sound latino mi piace tutto, ma se devo esprimere una scelta dico musica cubana: son, bolero, cha cha cha, habanera. In particolare habanera e son – ma anche il bolero –  che nel corso degli anni si sono mescolati moltissimo con il tango e realmente questi sono gli stili che sento più vicini e che si ascoltano molto a Buenos Aires e in tutto il mio paese, dove vivono molti cubani. Sì, nel disco c’è un po’ di musica cubana. Vicentico Fernández, il vocalist del gruppo rock Fabulosos Cadillacs, che collabora con me  interpreta molto bene il son e nel disco questi accenti e ritmi caraibici, anche se lievemente, si sentono.

Gfg


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