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Messico: Cheran in rivolta per difendere boschi e vita

22. maggio 2011 – 16:43No Comment
Messico: Cheran in rivolta per difendere boschi e vita
L’importante articolo “La rivolta dei boschi a Cheran”  di Fulvio Gioannetto apparso su Il Manifesto (21/05/2011) spiega la lotta della comunità messicana Purepecha per difendere boschi, terre e risorse naturali sotto attacco di gruppi mafiosi e criminali.  Guardate anche il video che testimonia il valore di questa gente che tiene duro a colpi di machete.
La comunità indigena purepecha di Cheran, nello stato di Michoacan (Messico centro-occidentale) è diventata un simbolo nazionale di lotta partecipativa e collettiva di una intera popolazione contro la deforestazione che flagella il restante degli esuberanti boschi di queste aree montagnose. Dei 20 mila ettari iniziali, dai quali gli abitanti estraevano in modo sostenibile legna, resina, funghi e più di altri 65 prodotti non forestali, restano solamente 5.000 ettari di pino e querce, attaccati dai «talamontes» illegali appoggiati dal crimine e da bande di delinquenti locali.
Un mese fa gli abitanti, stanchi di subire estorsioni, limitazione ai loro commerci e di vedere decine di camion carichi dei tronchi rubati dalle loro terre che transitano impunemente sotto gli occhi della polizia municipale, hanno deciso di farsi giustizia da soli, catturando alcuni responsabili e bruciando i camion che portavano via la loro
legna. Il giorno dopo, i talamontes hanno teso un’imboscata ad alcuni cittadini della comunità, uccidendo due persone e sequestrandone altre tre.  Nel frattempo la polizia, alla quale i talamontes pagano un diritto di transito, liberava le cinque persone tenute in ostaggio dalla comunità.
La risposta della gente di Cheran è stata chiara: armati di machete, bastoni, fucili e armi confiscate alla polizia municipale, da un mese gli abitanti stanno bloccando le entrate di accesso alla cittadina e le principali vie d’accesso alla regione. Autorganizzati per quartieri, centinaia di uomini, donne e bambini hanno espulso le autorità comunali (con le quali già esistevano conflitti precedenti), installato
blocchi blocchi stradali e picchetti attivi giorno e notte nelle principali strade e iniziato ad aprire spazi di discussione con le altre comunità indigene vicine sul come fermare in modo participativo e collettivo la difesa delle risorse naturali e la lotta al crimine. Chiedendo l’aiuto dell’esercitoe delle forze federali per proteggerli e controllare i boschi. E nel momento in cui le attivitá economiche e scolastiche della comunità si sono bloccate, camionette di aiuti, con alimenti e vestiti, sono cominciate ad arrivare giornalmente in segno di solidarietà da tutte le scuole della regione e dalle
altre comunità della meseta púrepecha. Comunità che prima erano separate da conflitti territoriali, agrari e poltici.
La situazione non è facile in queste regioni: disoccupazione e povertà endemica che si traducono in terreno fertile per le attivitá criminali, autorità corrotte a tutti i livelli, impunità generalizzata, divisioni politiche e religiose all’interno delle stesse comunità che avevano impedito finora di ritornare alle forme tradizionali di organizzazione e di controllo cittadino. Cheran è diventato un simbolo proprio perché sta dimostrando che è possibile costruire schemi differenti, realisti e partecipativi, a questa «guerra contro il narcotraffico» che ha provocato già 40.000 morti ufficiali in tutto il Messico, in zone dove le bande criminali non sono riuscite, nonostante i sequestri e gli assassini, a stroncare la volontà della popolazione locale di difendere le proprie risorse naturali per continuare a vivere di queste.
Si ringrazia l’autore del pezzo e il quotidiano Il Manifesto.
La nostra redazione, non può stare a guardare, e prendendo spunto da questi fatti (ma ce ne sarebbero altri da raccontare) invita i cittadini italiani a partecipare al voto per non farsi rubare il diritto all’acqua. Gli abusi, le violenze e le ingiustizie raccontate nell’articolo debbono far riflettere anche gli indecisi italiani a scendere in campo  per dire la loro, perchè di speculatori e di avvoltoi (con rispetto agli animali)  il nostro paese è pieno.  Non è un problema dell’America latina, anzi rispetto a noi hanno maturato maggiori sensibilità democratiche.

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