UmbriaJazz in clave: con latin e rumba cala il sipario a Perugia
Dopo lo storico omaggio al latin di “Musica Jazz” con il numero speciale del settembre scorso, domenica 17 luglio 2011 anche Umbria Jazz ha parlato latino. Infatti la rassegna ha calato il sipario con un impareggiabile e scoppiettante finale tutto di sapore afrocaraibico.Il latin è un idioma musicale che è stato quasi sempre presente alla rassegna perugina dal 1982 con Machito and His Salsa Orchestra, poi via via con Tito Puente e Celia Cruz, Irakere, Mario Bauza, Paquito D’Rivera, Arturo Sandoval, Gonzalo Rubalcaba, Los Van Van, Oscar de Leon e tanti altri ancora ma la dimensione di quest’anno ha qualcosa di straordinario. L’edizione 2011 di Umbria Jazz, infatti, è stato il primo grande meeting – se la memoria non mi tradisce – con tre mostri sacri del cubop o afrocubanjazz che dir si voglia (o il più attuale latin Jazz), nel medesimo giorno e sullo stesso palcoscenico dell’Arena Santa Giuliana: Eddie Palmieri, Michel Camilo e Chucho Valdés.
Di nazionalità diverse, percorsi distinti, tutti e tre pianisti, compositori, arrangiatori, band leader, collezionisti di Grammy , questi ambasciatori delle note latine condividono come stella polare la musica afrocubana. Hanno presentato i loro rispettivi progetti e poi si sono ritrovati (tranne Palmieri) verso la mezzanotte con i loro musicisti per dare il la a una travolgente descarga in cui rumba, conga, bomba, merengue, samba, Beethoven e Mozart sono stati mescolati a blues e bebop e jazz modale. Insomma un festival nel festival dove sono spiccati, ma non poteva andare diversamente, oltre il duo pianistico di Chucho e Michel, soprattutto i vertiginosi ritmi di Giovanni Hidalgo, Horacio “El Negro” Hernandez, Yaroldy Abreu, Dreiser Durruthy e Juan Carlos Rojas “El Peje” i quali hanno premuto sull’acceleratore combinando poliritmie incredibili , ritmi inauditi, virtuosismi mai visti sempre sostenuti da partner affidabili come i contrabassisti Lazaro Rivero (Chucho Valdés) e il giovanissimo Luques Curtis (Eddie Palmieri). Altri importanti solisti della partita sono stati il trombettista Brian Lynch (fedele di Eddie Palmieri), il bassista Anthony Jackson (Michel Camilo), i fiati degli Afrocuban Messengers, il sassofonista Carlos Manuel Miyares e la tromba Reinaldo Melian.
Alle 18.50, con venti minuti di ritardo rispetto al programma, quando il sole era ancora alto e accecante, l’apertura è stata affidata a Eddie Palmieri Quartet, formazione in cui primeggia il batterista Horacio “El Negro” che ha sfoderato la sua inimitabile e ostinata clave a pedale incrociandola al montuno mozartiano del pianista-leader Palmieri.
Alle 21.00 è andato in pedana il vulcanico dominicano Michel Camilo presentando gran parte dell’album «Mano a Mano» inciso con il portoricano Giovanni Hidalgo, il più grande conguero di tutti i tempi, in pedana a Perugia con il virtuoso Jackson, che ha sostituito il bassista cubano Charles Flores, cofirmatario di «Mano a Mano». Michel e Giovanni in duo (con Jackson spettatore) hanno alternato pezzi di grande intensità ritmica a melodie più intimiste come You and Me, un bolero jazz con accenni di bachata. Con il trio, invece, tra gli altri brani, merita segnalare l’esecuzione Rice and Beans, una simpatica marcia con merengue jazz
Poi il grande finale con l’attesissimo gigante della tastiera Chucho Valdés accompagnato dai suoi Afro-Cuban Messengers, una versione ridotta e aggiornata dei mitici Irakere in cui canta anche la sorella di Chucho, Mayra Caridad Valdés. Il repertorio è scaturito da « Chucho’s Steps», progetto premiato con un Grammy 2001 come miglior album di latin jazz e il brano che ha fatto da faro alla performance è stato “Zawinul’s Mambo”, un omaggio al fondatore dei Weather Report. Infine una nuova sfida pianistica , una sorta di desafio, duello già sperimentato diversi anni fa tra Michel e Chucho, quattro mani poderose e magiche che hanno fatto riecheggiare sugli 88 tasti bianchi e neri i vari Beethoven, Mozart, Bach, Cervantes all’interno di tumbao pianistici di impronta afrocubana. E magicamente hanno infilato (si fa per dire) i loro due pianoforti tra le poliritmie indecifrabili citate poc’anzi. E così lo spirito latino allegro, ribelle e anticonformista per una volta, e forse sorprendendo i più ortodossi frequentatori del jazz jazz, ha spezzato i canoni classici della manifestazione perugina. Infatti nessuna descarga o jam session latina era in programma, ma c’era da aspettarsela, e da augurarsela. In fondo i latinoamericani sono autentici maestri del divertimento. E quando si ritrovano, anche a diecimila miglia dal loro Continente, festeggiano l’evento con canti e ritmi incandescenti.
Grilli Gian Franco