Padura Fuentes: L’uomo che amava i cani
Giancarlo Guglielmi* propone ai lettori di MiCaribe una recensione del romanzo L’UOMO CHE AMAVA I CANI dello scrittore-giornalista avanero Leonardo Padura Fuentes (Marco Tropea editore).
Leonardo Padura mette in prosa alcuni degli orrori del, già definito, “secolo degli orrori”.
Lo scrittore cubano abbandona il suo personaggio principale: l’ispettore Conde che in una realistica Havana indaga su misfatti di ogni genere e, in questo libro ci racconta la storia dell’assassino di Trotski e quindi lo scontro Stalin – Trotski e quindi i cosidetti danni collaterali.
Ivan, cubano amante della spiaggia in inverno incontra Jaime Lopez che porta a spasso un paio di borzoi, ossia levrieri russi, che gli racconta la storia di Ramón Mercader, l’uccisore di Trotski.
La narrazione è avvincente perché abbonda di dettagli storici a partire dalla guerra civile spagnola, da dove viene Ramón Mercader reclutato dai servizi segreti sovietici che ne fanno una cosidetta cellula dormiente da poter usare in qualunque luogo del mondo. Infatti la storia si dipana attraverso il mondo con l’apice nel Messico di Frida Kalo, Ribeira e Siqueiros.
La prima domanda che sorge spontanea è: ha ancora senso ripercorrere certi orrendi avvenimenti, che rispetto all’oggi sembrano distanti millenni, oppure non sembrano umani ma di qualche razza aliena?
Tipo le epurazioni staliniane, di cui più si è parlato di più, oppure di meno come gli eccidi della guerra di Spagna, dove inizia il racconto di Leonardo, che con la vittoria del Caudillo Franco viene trucidata una intera generazione, quella che aveva difeso la Repubblica. Fossero stalinisti, trotskisti o anarchici. Non ci fu solo Guernica purtroppo, ci ricorda il libro. Naturalmente nello stesso tempo dall’altra parte c’erano gli orrori hitleriani e da prima quelli coloniali, ma non fan parte di questa storia.
Forse sarebbe meglio rimuoverli per sempre ma come ha dimostrato la ex Yugoslavia, possono incredibilmente anche ripresentarsi, quindi forse è meglio parlarne ancora. Ma soprattutto diventa ancor più interessante quando è raccontata da dentro, come in questo caso, cioè da dentro un Partito Comunista, da dentro un Paese come Cuba che aveva appena vinto la Rivoluzione.
Infatti il libro diventa appasionante proprio per questo e naturalmente perché Leonardo è una delle poche persone di Cuba, ma forse anche del pianeta, che mantiene una visione critica universale e non cade nelle rivendicazioni personalistiche di tutti i dissidenti.
La seconda domanda che scaturisce dalla narrazione è: se per caso nello scontro Stalin-Trotski si fossero invertite le parti, cioè avesse vinto il secondo, le cose sarebbero andate diversamente per la URSS e per il mondo?
Direi proprio di no, dato che appena fondata la IV Internazionale cominciarono le espulsioni per chi non era in linea. Non sarebbe andata diversamente, perché se non si supera l’idea leninista del ruolo preponderante dell’Avanguardia, che poi diventa Partito, che poi diventa Ceto Burocratico e che poi diventa una vera e propria Classe al potere, che in quanto tale si dedica a difendere se stessa e non certo la maggioranza delle popolazioni, le cose resterannno uguali anche cambiando gli uomini. Certo, se al posto di un assetato di potere come Stalin c’è una persona più civile come Fidel non troviamo gli stessi orrori naturalmente, ma comunque il potere finisce con non essere “Popular” come si dice a Cuba ma piuttosto esclusivo della nuova classe della burocrazia.
Mao Tse Tung è il primo a rendersene conto, e prova a sovvertire questo stato di cose e promuove col dat she bao “Bombardare il quartier generale” la “Grande Rivoluzione Culturale Proletaria”, da cui si diffonde il movimento delle “Comuni”, quella più famosa fu quella che si instaurò a Shangay dopo aver sbaragliato l’apparato burocratico al potere, il quale si ritrasse nell’ombra per poi alla morte di Mao riprendersi la rivincita completa, mandado a morte il capo della Comune, Chang Chun Ciao assieme a Chan Cing che aveva sostenuto il movimento per le Comuni. E naturalmente oggi viene definito nel peggiore dei modi quel periodo cinese, e concordano sia la destra che la sinistra, mentre fu una grande sperimentazione per una vera nuova società.
In conclusione, potremmo ripartire a ragionare sul futuro proprio a partire da “L’uomo che amava i cani” che ha un unico difetto, che in certi momenti … come dire… mena un po’ troppo il can per l’aia, con alcune pagine in meno sarebbe decisamente meglio.
Giancarlo Guglielmi
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*Il libro presentato non è stato inviato in omaggio (come consuetudine) dall’editore Tropea alla redazi0ne MiCaribe: la recensione pubblicata è una proposta disinteressata del nostro lettore Giancarlo Guglielmi, che divide la sua vita tra Bologna e L’Avana.