DANIEL VIGLIETTI: siempre “El Pueblo Unido”
Intervista al cantautore militante uruguayano, folgorato sulla via dell’Avana. Daniel Viglietti è autore di composizioni diventate celebri grazie anche le interpretazioni di artisti di varie nazionalità, tra i quali Víctor Jara, Amparo Ochoa, Isabel Parra, Joan Manuel Serrat, Mercedes Sosa, Chavela Vargas e Soledad Bravo.
Autore-compositore, cantante, docente e annunciatore radiofonico negli anni Sessanta partecipa alla crescente mobilitazione popolare in Uruguay. La sua opera acquista un carattere radicale dal forte contenuto sociale e di sinistra. Alcune sue canzoni sono note anche per le interpretazioni di cantanti di varie nazionalità, tra i quali Víctor Jara, Amparo Ochoa, Isabel Parra, Joan Manuel Serrat, Mercedes Sosa, Chavela Vargas e Soledad Bravo.
L’argentino Atahualpa Yupanqui è stato il tuo idolo, o meglio mentore, ma la tua originale cifra stilistica (come si direbbe oggi) di artista rivoluzionario, fondendo poesia, versi al vetriolo e musica, esplode a Cuba. E’ una ricostruzione esatta?
Direi che è abbastanza fedele alla realtà dei fatti. Noi musicisti dell’America latina siamo tutti un po’ debitori di Yupanqui, il primo cantore delle ingiustizie sociali in America latina, ma la mia canzone di contenuto maturò definitivamente con la mia prima visita a Cuba nel 1967. Quel viaggio si trasformò in un amore folgorante, presi coscienza del mondo che mi circondava e lì vennero convalidati alcuni sentimenti di attrazione verso la rivoluzione che erano sbocciati fin dal trionfo dei barbudos nel 1959. Uguaglianza, giustizia sociale, solidarietà e diritti umani diventarono valori importanti da far trionfare ovunque e decisi di contribuire con il mio canto. Insomma quei giorni furono di grande impatto a più livelli, anche di tipo culturale.
Il viaggio all’Avana fu prima o dopo la morte di Che Guevara?
Stavo registrando nella capitale cubana il mio terzo disco che si chiama Canciones para El Hombre Nuevo mentre venne assassinato il “Che” in Bolivia. Ti puoi immaginare il clima di quei giorni. Partecipai alla veglia solenne in memoria del comandante Che Guevara nella Plaza de la Revolucion: ascoltai il silenzio più incredibile della mia vita, un silenzio che era come un grido. In 72 anni mi è toccato vivere molte esperienze ma la carica emotiva e l’atmosfera di quella manifestazione non si possono rappresentare con le parole.
Anche quel silenzio assordante ti spinse a diventare interprete dell’indignazione e della speranza di molti giovani idealisti tra la fine degli anni Sessanta e metà degli anni Settanta?
Il sostantivo che hai impiegato è molto corretto, perchè interprete traduce a livello culturale una quantità enorme e variegata di sentimenti positivi, di amore per l’essere umano. Quello è stato il periodo più terribile del nostro Continente, nel 1972 fui incarcerato e poi liberato grazie a una campagna promossa da personalità come Jean-Paul Sartre, Julio Cortazar, Francois Mitterand. Andai in esilio prima in Argentina e poi in Francia fino al 1984. Nel frattempo denunciavo la dittatura uruguaiana e appoggiavo la situazione dei prigionieri politici cantando in spettacoli di solidarietà. Nel 1974 cantai a Brescia, Milano, Reggio Emilia, Modena e Bologna con il sostegno concreto del maestro Luigi Nono, che è stato molto generoso e solidale con l’America Latina. Nono inquadrava le nostre vicende e poi presentava il mio lavoro. Lo incontrai nuovamente anni dopo a Montevideo e a Cuba, un artista con idee rivoluzionarie molto avanzate per quell’epoca, ma anche compositore di musica rivoluzionaria vera, perché una musica che dice revolución, revolución non è rivoluzionaria se non lo è nella sua fattura complessiva, nella sua estetica.
Stiamo ancora sul tema rivoluzione, diritti dei popoli eccetera, e su questo ti faccio alcune domande. 1) Il continente latinoamericano oggi si può dire che va a sinistra, e allora il canto militante serve ancora? 2) E dopo cinquant’anni di socialismo che ne pensi di Cuba?
Prima risposta: E’ vero in parte, perchè tu sai che l’America latina è composta da molti paesi e se parliamo di Haiti, Honduras, Salvador, Guatemala, per alcuni aspetti la Colombia, le cose non vanno certo bene. Nonostante i miglioramenti in generale io dico che il canto impegnato è sempre necessario poiché un artista canta un orizzonte, ma l’uomo nuovo si sposta. Quando pensi di avere ottenuta una cosa, questa si muove, c’è crisi, e allora la ricerca continua. Poi ci sono realtà che vanno seguite sempre, come il Cile oggi. Lì son tornato a cantare proprio tre mesi fa a sostegno delle lotte studentesche di fronte a centinaia di migliaia di persone. Assieme agli Inti Illimani abbiamo intonato ancora una volta “El Pueblo Unido”. Cuba? All’Avana sono ritornato pochi mesi fa e ho notato che c’è una buona quantità di gente che continua ad appoggiare la rivoluzione cubana senza perdere la memoria di quello che gli ha dato il processo rivoluzionario. E’ vero che alcuni trovatori stanno criticando ma secondo me non sono contro il sistema, propiziano invece cambiamenti che del resto lo stesso governo sta mettendo in atto con difficoltà. Ad ogni modo per capire Cuba bisogna cercare di farlo con un concetto che abbracci il continente intero e contestualizzando il periodo storico. Io posso dirti che lì c’è una enorme massa di giovani artisti che lavorano intensamente sulla trova, molti di questi criticano la burocrazia, il modello, ma sono dentro il paese e non se ne vanno da Cuba.
Torniamo in Sudamerica dove i governi progressisti che sono al potere non sempre si confrontano con equilibrio verso il popolo che dicono di rappresentare. Ad esempio, cosa ne pensi delle proteste e degli scontri tra comunità indigene di Bolivia, Amazzonia, Cile, Perù ecc. e gli eserciti relativi?
Ogni processo di cambiamento sempre ha dei conflitti, dei contrasti. E’ impossibile immaginarsi il paradiso, quello che qualcuno una volta propose con una visione religiosa, un luogo perfetto, candido, puro. Ogni rivoluzione ha le sue contraddizioni, le sue lotte, ma sono battaglie per la vita e non per gli interessi meschini di un capitalismo selvaggio che ha fatto molti danni.
E’ sempre più difficile stabilire il confine tra destra e sinistra, soprattutto quando vedi che il presidente brasiliano (ex guerrigliera) ha dovuto esonerare ben sei ministri (tra cui dei comunisti) per corruzione, più o meno come avviene nell’Europa capitalista?
Certamente ci sono anche questi esempi, ma non dobbiamo generalizzare perché ci sono delle differenze. Se c’è una sinistra che smette di essere a sinistra questo è un altro problema. Ma io credo in una sinistra che continui ad essere tale. E questo è ciò che significa speranza nel mondo, non solo criticare quello che non funziona, ma sforzandoci di proporre percorsi nuovi.
Tu vieni da una famiglia di musicisti, con un avvenire da chitarrista, sei coetaneo di Leo Brower, di Pablo Milanés, di Chico Buarque, ma anche di John Lennon, dei Beatles, di Caetano Veloso, del tropicalisti brasiliani, di Sergio Mendes, della bossanova, di Gato Barbieri. Nessuna tentazione hai mai avuto verso alcuni di questi linguaggi musicali che conquistarono le platee a livello planetario?
Mi interessava ascoltare quei nomi o i generi musicali che hai citato ma non mi piaceva suonarli. Sono stato sempre affascinato dalla letteratura, amo scrivere ed era mio interesse unire musica e parole, che è la canzone. E quindi mi piaceva che queste due espressioni si abbracciassero e così lasciai il pianoforte, il mio primo strumento, non volli diventare pianista o direttore d’orchestra, decisi per la chitarra e la voce. Fui catturato dalla canzone intrapresi questo cammino musicale con il quale mi sono identificato totalmente pur coltivando altre passioni come il cinema. E non per caso mi trovo in questo festival di Trieste di cui faccio parte della giuria. Io ho scritto musiche per film ma sono proprio un appassionato del cinema.
Vuoi spiegarti meglio ?
Mi hanno conferito il Premio “Oriundi – Italia in America Latina” che il Festival di Trieste attribuisce ad artisti di origine italiana che hanno valorizzato la memoria dell’emigrazione e della presenza italiana in America Latina. E quest’anno io sono stato prescelto.
Come si estrinseca il lavoro in Uruguay sulla memoria?
Ho divulgato la cultura e ho fatto circolare materiale musicale italiano e inoltre, tra le motivazioni, il mio rispetto profondo per il neorealismo italiano, per Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, per Cesare Zavattini, Ladri di Biciclette, Un Miracolo a Milano, Roma città aperta. Tutto ciò fa parte della mia cultura e un musicista è esposto a moltissime influenze tra cui il cinema.
Qual è il tuo ultimo disco pubblicato ?
Devenir, uscito in Uruguay, Argentina e Messico e conto di editarlo anche in Europa, pur nella consapevolezza del fatto che la crisi del disco è molto forte, ma bisogna provarci.
Concludendo: un artista come te non ha ancora un sito web, come mai?
Hai ragione, sto pensando proprio di realizzarlo in tempi brevi, ma in internet ci sono molte informazioni sulla mia attività.
G.F.G.
Questa che avete appena letto è una parte, più generica, dell’intervista. Gli aspetti strettamente connessi all’attività politico-musicale dell’artista uruguayano verranno pubblicati prossimamente in due distinte interviste sui mensili MUSICA JAZZ e JAM-Viaggio nella Musica.
grazie per aveci fatto conoscere un personaggio così autorevole e di cui non sapervo nulla
Martelloni
Ora è uscita anche un’altra intervista sempre a Viglietti sul mensile
JAM di gennaio 2012, in edicola.