ARGENTINA: il prototango di MELINGO a Rimini (+ Intervista)
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Intervista pubblicata su www.salsa.it nel 2008.
MELINGO rilegge il Tango... e ha cambiato il proprio look. Si è accorciato i capelli, che sono brizzolati, indossa abiti scuri, aria esistenzialista. Non per nulla. Ha messo alle spalle rock e jeans, ma senza abbandonarli, ed è diventato uno dei grandi interpreti della canzone rioplatense. Intervista al cantautore, polistrumentista e compositore argentino in tournée mondiale per presentare l’album «Maldito Tango» (Mañana/Naïve- distr. Self)
di Gian Franco Grilli
E’ considerato il moderno ambasciatore del tango-canción, il genere inventato da Carlos Gardel. In principio fu il rock a dominare la sua vita musicale tra Argentina ed Europa. Ma la sua vera realizzazione artistica avvenne dieci anni fa quando decise di infrangere dolcemente regole e modalità del tango rioplatense, offrendo così un contributo moderno all’immagine tradizionale della musica argentina. Con una voce speciale – è un basso – un registro profondo, virile, un po’ Tom Waits e un po’ Nick Cave, l’infaticabile Daniel Melingo ci racconta il suo tragitto artistico, tra bandoneón, clarinetto, chitarra, rock psichedelico, tango, milonga, lunfardo, poesia, teatro, passato e presente. E ci parla anche dei suoi preferiti, tra cui i ritmi cubani. Ecco la conversazione raccolta in occasione del concerto che ha tenuto alla Salumeria della Musica di Milano.
Possiamo cominciare con una sintetica carta d’identità?
Vivo nel barrio Villa Ortúzar di Buenos Aires dove nacqui nel 1957. Tra i miei antenati anche italiani e quindi parlo un po’ la tua lingua.
Ah! molto bene, nelle tue vene scorre sangue italiano. Allora vuoi parlarci delle tue origini, se hai tradizioni musicali in famiglia, la tua formazione?
Questo è il mio piccolo albero genealogico: Daniel Melingo, figlio di Leonida Melingo e Thelma Silva; i miei nonni paterni sono Pietro Melingo di Salonicco (Grecia) e Marcella Forza, italiana, e da Trieste arrivò a Buenos Aires nel 1927. Mia nonna da giovane era cantante lirica, soprano della Scala di Milano, mio nonno era violinista; mio padre Leonida era un attore cantante di teatro. Dal lato materno: erano tutti creoli – una mistura di africani e aborigeni – che vivevano nel Parque de Los Patricios (un sobborgo tanguero) e si dedicavano a scrivere testi, musiche di tango e milonga, e poi erano ballerini. I miei primi passi nella musica furono stimolati da mio patrigno (era rappresentante di Edmundo Rivero, un gran cantante di tango) che mi regalò un bandoneón, il mio primo strumento all’età di 13 anni, e così cominciarono i miei studi musicali. A 15 anni entro al Conservatorio nazionale per studiare clarinetto con il professore Filotete Martorella, un’autorità dello strumento, a 18 mi iscrivo all’Università di Musica per studiare composizione e orchestrazione. In sintesi: suono bandoneón, clarinetto, piano, chitarra; nei concerti utilizzo clarinetto, chitarra e canto.
Riassumendo, hai fatto studi di tipo classico, di tango e, se ho letto bene da un tuo profilo, attorno ai 20 anni ti avvicini al rock, acquisisci dimestichezza con questo linguaggio che ti fa entrare sulla scena nazionale e internazionale dove si muovono grandi protagonisti. Stai dentro questo casa per molti anni e poi un cambio e ritorni alle tradizioni rioplatensi. Eri stanco di rock o cosa d’altro è successo?
No, ero dominato dall’inquietudine di trovare un ruolo da protagonista di primissimo piano, cosa che non è avvenuta nel rock dove ero coautore, o membro di gruppi per accompagnare solisti, oppure producevo artisticamente in studio. Quindi, ripeto, ero in cerca di una nuova identità musicale, e dopo aver transitato per molti stili, classica, rock, jazz e dopo essere vissuto dieci anni in Europa (1986-1996) ci fu una svolta-ritorno con il tango canción.
Cioè?
Ritorno a Buenos Aires e riscopro il tango che ho nel sangue (si trattava solo di riprendere la tecnica) e che avevo studiato in gioventù. Realizzai così il mio primo disco da solista con il tango, era il 1998, e raggiunsi il mio obiettivo artistico come solista.
Prima di parlare di tango, mi fai un breve ritratto del rock argentino anni Ottanta e magari qualche accenno all’oggi?
C’era il Movimento del rock nazionale a cui aderivano molte band tra cui il gruppo Sumo la cui storia è vincolata all’artista italiano Luca Prodan (un mito della cultura rock in Argentina anni ‘80-’90, ma sconosciuto nel Bel Paese. Nato a Roma nel 1953, ha vissuto in Inghilterra, testimone del movimento punk e dell’influenza musicale giamaicana a Londra. Nel 1981 si stabilisce in Argentina, dove muore nel 1987. Fonte: Astrolabio rivista argentina del Centro de Estudios Avanzados de la Universidad Nacional de Córdoba -NdA). Io suonato con varie formazioni tra cui Los Abuelos de la Nada, Los Twist, Charly García, Fito Páez e il rock di quegli anni era una miscela di latinrock, anglorock, reggae, jazz. Dopo venticinque anni la situazione è un po’ diversa. Comunque, coltivo l’attività tanguera e allo stesso tempo continuo a produrre canzoni rock: la mia vita è ancora radicata nell’ambiente rock, i miei amici più importanti stanno lì.
C’è un trait d’union tra rock e tango?
Il mio lavoro, assieme ad altri, è proprio quello di trovare un punto d’incontro tra le due forme. Nel 1996 convocai in un programma Tv grandi protagonisti del rock come Fito Páez, Andrés Calamaro ecc. a cantare tango. E questo produsse effetti importantissimi: da lì i giovani del rock vedendo i loro idoli interpretare il tango incominciarono a seguirli su questo terreno, ritenuto fino a quel momento roba vecchia, da museo. Oggi c’è questa positiva convivenza. Un rockero può fare tango, mentre non so se vale il discorso inverso perchè il tanguero è più radicale, comunque va bene. Bisogna dire, inoltre, che i tangueros anziani – diversamente da prima – hanno cominciato a vedere di buon occhio il rock e si è creato un ponte molto solido tra rock e tango. E oggi c’è una base massiccia di tango nel rock argentino, soprattutto filosofico e testuale, cioè i testi delle canzoni rock hanno una vena tanguera, anche due artisti come Fito Páez e Charly García vanno in questa direzione.
Parliamo di Tango. Puoi farci un breve ritratto di quest’espressione, raccontandoci se il tuo tango canta ai vincenti o ai perdenti della società, se è una musica politica. In breve, cos’é?
Il tango è un gran sentimento che abbraccia musica, ballo, poesia, filosofia, una maniera di vita. E’ la storia del vivere quotidiano. La figura principale è Carlos Gardel – l’inventore del tango canción, ossia la forma che io cerco di rinnovare – e poi altri riferimenti fondamentali per me sono Edmundo Rivero e Roberto Goyaneche ‘el Polaco’. Io personalmente con il tango-canción canto ai perdenti, alla gente che non ha avuto fortuna, è una musica per definizione nostalgica. Politica? Tutto è politica, ma io non parlo di politica nella musica: la faccio; la mia canzone è cronaca, non critica, e nel raccontare cerco di combinare dramma, commedia e istrionismo. Ma uno spettacolo dal vivo, credimi, vale molto di più di tante parole per descrivere il mio tango.
Sono i fattori geografici e climatici (porto,mare, postriboli, caffè, taverne in parte presenti anche a New Orleans al sorgere del primo jazz) che influiscono psicologicamente sullo spirito del tango o quest’ultimo dipende più dal contesto ambientale, ossia dal vivere tra difficoltà, povertà, crisi, emarginati e disoccupazione?
Secondo me influisce un po’ tutto quello che hai citato, ma anche l’immigrazione, perchè il tango è una forma nata dall’incontro di immigrati – tra cui moltissimi italiani, spagnoli, europei, africani, asiatici ecc. – con gli aborigeni delle campagne arrivati nei sobborghi poveri di Buenos Aires. E’ li che iniziò il tango e oggi lo troviamo sempre in quei luoghi nonostante venga considerato un fenomeno di città. Inoltre, posso dire che i fattori geografico-politico-migratori continuano ad incidere ancora oggi sulla canzone-tango.
Parlaci brevemente del principale complice del tango: il lunfardo, gergo sincretico di Buenos Aires che penetra l’ambiente tanguero (più ‘malavitoso’ e adulto) e, se non erro, anche parte del più alternativo e giovanile underground.
Il tango inizia con il lunfardo – l’argot con cui si scrive il tango – che è composto da vocaboli provenienti da molti idiomi (italiano, dialetti italiani, calò spagnolo, portoghese, inglese, lingue indigene come guaranì- NdA). Cominciò come linguaggio carcerario, un modo occulto di comunicare tra detenuti ed emarginati, poi si è diffuso tra la gente comune (come linguaggio colloquiale) attorno agli anni Quaranta, e infine si è trasformato in uno stile letterario, poetico. Da notare che ora è usato in ogni contesto sociale, ma il lunfardo – è bene ricordarlo! – fu accettato dalla società borghese argentina dopo la consacrazione universale del tango avvenuta all’inizio del secolo scorso a Parigi, che è la seconda capitale storica del tango. Fino a quel momento a Buenos Aires il lunfardo (e il tango) era un fenomeno marginale, dei bassifondi, rifiutato dall’establishment.
In cosa consiste il tuo apporto al rinnovamento del tango cantato?
Io non impongo cose speciali, ma dentro il tango canción cerco di sviluppare la mia personalità, scrivo la musica e le parole e vorrei dare una visione attuale però atemporale; in quel po’ che si può fare sulla traiettoria iniziata dal suo inventore, Carlos Gardel, provo di mescolare gli stessi elementi da lui impiegati ottant’anni fa. Tento di inserire sonorità diverse con il trombone, clarinetto ecc. a parte i ‘classici’ strementi del tango: chitarra, violino, bandoneón, contrabbasso. Parlando di Gardel, dei suoi ultimi anni, é bene dire che nei film girati negli Usa orchestrò le sue canzoni, ma generalmente era accompagnato dal suo chitarrista.
Tra un cantante tanguero e un cantastorie-poeta come Atahualpa Yupanqui non ci sono legami? Eppoi, è necessario saper improvvisare nel tango come un decimista o è tutto previsto?
Non è tradizione improvvisare parole nel tango. Il testo è tutto scritto, diversamente dal canto del payador (cantastorie del folklore) che inventa in parte all’istante come il decimista di cui ha parlato. Nella parte strumentale del mio tango canción io ci metto una piccola quota di improvvisazione che traggo da jazz e rock.
Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il Melingo rioplatense?
I miei punti di riferimento sono: Carlos Gardel, Edmundo Rivero e Roberto Goyaneche.
Carlitos Gardel, “El Morocho”, è stato il più grande interprete del tango, avendolo vissuto anche come stile di vita, frequentando taverne, postriboli, quell’ambiente che poi ha rappresentato sugli scenari del mondo. Per certi aspetti è un’esperienza quasi simile a quella vissuta da molti bluesmen con il blues. Anche per te c’è immedesimazione totale o solo una relazione di tipo artistico con il tango, ce ne parli?
Secondo me Gardel esagerò la icona del porteño e del tanguero, essendo straniero (nato a Tolosa -Francia – arrivò con la madre in Argentina quand’era piccolissimo) visse il fenomeno in maniera iperrealistica dando origine all’immagine del tanguero tipico di Buenos Aires. Morì nel 1935 e l’unica cosa certa è la sua opera, la sua musica: della sua vita si parla molto ma si sa poco e allora bisogna comunque andar cauti perchè sono pochissimi coloro che l’hanno conosciuto personalmente e c’è tanta gente che ci specula un po’. Per quel che mi riguarda, vivo il tango in senso artistico, e ora cerco di combinare vari aspetti di rock, psichedelia, tango e teatro dentro la mia opera.
Quindi non c’è stato l’abbandono totale del rock per il tango?
No, è la coniugazione delle due forme.
Parliamo di dischi. Quattro sono gli album di tango pubblicati finora. Il penultimo è stato «Santa Milonga» con il quale adori la milonga, mentre ora sembri maledire il tango con il nuovo album, appunto «Maldito Tango». Puoi spiegarci?
No, è solo un gioco di parole. In realtà si tratta di una bella coppia dove cerco di far convivere il bene e il male della vita. Permettimi di ricordare le mie produzioni tanguere: «Tango Bajo» (1998), «Ufa! » (2003), poi i citati «Santa Milonga» una compilation ricavata da tre dischi, pubblicato dalla label francese Mañana/Naïve (2005), e, sempre per la stessa discografica, «Maldito Tango», con 11 canzoni originali.
Possiamo dire che sei il nuovo cantore del tango-canción, che interpreta il dolore, le tristezze della vita con toni laceranti, con un po’ di quello spirito ‘maledetto’ francese, ma anche antiborghese e scandalistico del movimento artistico-letterario della Scapigliatura ( ben ancorato a Milano, dove suoni oggi). E’ questo che esprimi nel nuovo album «Maldito Tango»?
Non conosco il movimento della Scapigliatura, ma gli ingredienti citati e quello spirito sono nel mio ultimo album, che ha lo scopo di voler mettere in mostra i nostri poeti lunfardos un po’ dimenticati nel resto del mondo. Ho creato un parallelo tra i poeti ‘maledetti’ francesi e quelli lunfardos, i poeti argentini della malavita che cantano contro l’establishment, la borghesia. Tra i ‘maledetti’ di cui ho musicato loro opere in «Maldito Tango» ci sono Celedonio Flores, Carlos de la Púa, Dante A. Linyera, e, l’unico vivente di questo gruppo, Luis Alposta, settantenne, medico.
‘El bondi’, il brano n.1 di «Maldito Tango», ha un testo tra serio e faceto, con un taglio teatrale che inquadra un borsaiolo in un ambiente particolare, un paesaggio….
…Sì, parla di un furto, della quotidianità che si vive oggi a Buenos Aires, fotografa il borsaiolo (realtà che esiste anche qui in Italia). Il bondi – che in lunfardo vuol dire bus – è il palcoscenico, un bus elettrico color argentato dove si svolge la scena che descrivo. In questa canzone. come nelle altre del resto, troviamo istrionismo, teatralità, commedia e dramma miscelati. L’essenza del tango-canzone.
Ma la strumentazione impiegata, i violini che dialogano con sassofoni a tempo di r&b, il canto antifonale, e, nel finale, gli accenni di rumba cantata suppergiù così /trequetén contin / panka tun/, sono entità tradizionali del tango canción o c’è qualcosa di rivoluzionario?
Nelle mie canzoni-tango ci sono un po’ tutte le culture musicali che convivono a Buenos Aires, incluse musica klezmer e tzigana. Quello che hai elencato è ciò che ho assorbito nel corso degli anni e mescolo con il tango: in fondo continuo la pratica del rock, che è quella di miscelare stili, di rinnovare. Il riferimento rumbero? Si tratta di un africanismo che ho osato mettere con l’aiuto del maestro Juan Carlos Cáceres – il teorico del tango negro – , il quale ha collaborato suonando anche il trombone in questo progetto discografico registrato tra Buenos Aires e Parigi.
‘Eco il Mondo’, la traccia n. 11, più che tango mi sembra un pezzo di jazz contemporaneo, d’atmosfera, che attraversa sonorità tradizionali di New Orleans (con citazione del lamento della musica dei funerali) fino all’avantgarde. E’ corretto o solo una mia percezione?
Non ti sbagli, infatti è una specie di requiem dedicato a un poeta maledetto colombiano che si suicidò a Buenos Aires: Claudio De Alas (pseudonimo di Jorge Escobar Uribe, 1886-1918 -NdA). Questo è un sonetto che termina dicendo “con dos cocotes, – borrachas y desnudas -se murió dando besos y bebiendo champán… “ , morì in un ristorante baciando due donne nude e bevendo champagne.
Questo riferimento alla Colombia mi permette di ricordare che nel barrio Manrique di Medellín, c’è la Casa Museo Gardeliana…. E’ vero e i colombiani amano molto il nostro Gardel che nel 1935 morì proprio in quella città. Tutti gli anni, in giugno, a Medellín si tiene la settimana Gardeliana per l’anniversario della scomparsa dell’artista e al termine della tournèe parteciperò all’evento, dove presenziai anche l’anno scorso.
Come inno musicale rioplatense, quale preferisci tra la ‘La Cumparsita’, ‘El Choclo’, ‘A Media Luz’ e ‘Caminito’?
Ognuno ha il suo inno, per me è ‘La Cumparsita’, che considero il tango dei tanghi, anche se è uruguaiano. Io non faccio discriminazioni, non guardo alla bandiera ma alla musica, e dico questo perchè c’è polemica in Argentina e molta gente preferisce ‘El Choclo’ e ‘Caminito’. Ma ripeto, io sto con ‘La Cumparsita’, brano originale strumentale di Matos Rodriguez senza testo, e dello stesso autore c’è una versione con le parole; poi esiste anche quella cantata da Gardel con altro testo e si chiama ‘Si Supieras’.
Il tango è interpretato da molti uomini e poche donne, è così?
No, le donne invece sono ben rappresentate, ci sono molte voci femminili che interpretano il tango. Possiamo ricordare la grandissima cantante di tango Tita Merello (1904-2002), che fu anche attrice, drammaturga e tracciò la linea delle cantanti di tango.
Torniamo nel rock: quali sono le tue produzioni discografiche?
Come solista ho fatto un album, “H2O” (1996) una fusion di rock/reggae, mentre ho inciso cd con altri gruppi.
Tra i prossimi progetti futuri, c’è tango, rock o jazz?
Per la verità, ma è ancora solo un’idea, mi piacerebbe pensare a qualcosa sulla canzone greca, alla musica ‘rebetika’… ma al momento devo dedicarmi a «Maldito Tango».