Cuba: sano spirito critico Vs nuovi muri
Sempre più difficile (o facile, dipende dalla voglia che si ha) vedere l’isola caraibica con occhi realisti o indipendenti. E così leggendo un paio di pensieri critici di voci cubane non allineate al sistema come Padura Fuentes e Yoani Sanchez qualche dubbio ci è sorto.Il buon Gordiano Lupi, scrittore toscano da una decina d’anni impegnato su Cuba, ci ha trasmesso la scheda-recensione del libro L’altro muro ( recensione che potrete leggere in fondo) e da cui estrapoliamo questi due periodi: “Se diamo retta alla propaganda governativa, a Cuba, tra le persone che si oppongono al sistema, preoccupate per il destino nazionale e senza aver commesso alcun crimine, non c’è una sola persona decente. Tutti coloro che osano emettere una critica sono immediatamente definiti terroristi, traditori della patria, malfattori o amorali. “
Prendiamo spunto dall’ultima frase per dubitare che esista qualche forzatura molto partigiana da parte di Yoani Sanchez (o Lupi) poiché nello stesso giorno su Il Manifesto è uscito un articolo interessante e non certamente tenero con il regime dei fratelli Castro. Il pezzo “I tredici ristoranti glamour dell’Avana e il campesino ottantenne che porta l’acqua”(21 luglio, Il manifesto) è firmato dal noto scrittore e giornalista cubano Leonardo Padura Fuentes, il quale continua a vivere all’Avana nonostante le critiche pungenti e le contraddizioni che spesso rivolge alla burocrazia cubana e agli uomini che governano il Paese. Quindi dire che chi non è d’accordo con il governo avanero viene indicato dalla stessa amministrazione un terrorista o un traditore della Patria, ci sembra eccessivo e anche grave.E pare proprio che Padura sia tutto fuori che un terrorista tanto che va all’estero senza tanti problemi a promuovere i suoi lavori.
Morale: andare sui fatti per partito preso non aiuta alla comprensione della realtà a chi ha meno strumenti per informarsi correttamente e chi “beve” facilmente tutto ciò che viene offerto.
. Ecco i testi per farvi un’idea su quanto appena detto.
Il Manifesto, 21 luglio 2012:
CUBA / LE RIFORME VANNO AVANTI SIA PUR PIANO MA ALCUNI EFFETTI SOCIALI GIÀ SI FANNO SENTIRE
Nei «paladares» grazie alla «flessibilizzazione» delle leggi sulla proprietà privata, cibi e atmosfera per 20 euro lo stipendio medio cubano.
Mentre l’Europa si disintegra in mezzo a una crisi che fa piazza pulita dei piccoli affari, colpisce i grandi e impoverisce i cittdini europei, Cuba, un paese che durante gli ultimi vent’anni si è specializzato a convivere con la crisi, sembra che cominci a riprendersi e, così facendo, anche a recuperare parte del perduto glamour che un tempo la caratterizzava.
Questo non vuole dire che negli ultimi tempi nell’isola dei Caraibi le cose si siano troppo evolute rispetto a quella che è stata la sua realtà nel mezzo secolo di socialismo vissuto. Perché né le «attualizzazioni del modello economico», come sono state chiamate, né i cambiamenti «nella testa» rclamati dal presidente Raúl Castro, sono stati così profondi o contundenti da potersi parlare di una situazione politica o economica sostanzialmente diversa.
Sul terreno politico, la mancanza di una vera vocazione evolutiva si può vedere in fin troppe occasioni, che vanno dalle dichiarazioni pubbliche che mai più nella storia del paese cambierà il sistema politico stabilito, fino al perseverare delle tradizionali attitudini di segretezza rispetto all’informazione, criticate dallo stesso presidente cubano.
Per esempio, molto poco si parla (o si scrive) sui casi di colera da poco scoppiati nella parte orientale del paese e, per quelli che hanno memoria, appare evidente che noi cubani siamo stati molto più informati sull’epidemia di colera a Haiti, dopo il terremoto del 2009, che su quanto sta accadendo a casa nostra con lo scoppio di quell’infermità.
Neppure si parla (o si scrive) di che fine abbia fatto il famoso cavo di fibra ottica teso dal Venezuela verso Cuba, che doveva consentire agli internauti cubani la possibilità di connettersi ad alta velocità, una opzione tecnologica che ha finito per convertirsi in un mistero di cui nessuno, dalle posizioni ufficiali, se degna di informare.
E ancor meno si dice (o si scrive) da parte delle autorità, almeno fino a oggi, sulla promessa riforma delle leggi migratorie che dovrebbero alleggerire le assurde regolametazioni attuali, piene di proibizioni e necessità di permessi per uscire o entrare nel territorio nazionale imposte ai viaggiatori cubani che vivono fuori o dentro l’isola.
Risulta evidente però che in campo economico, al livello più elementare, già si sono andate producendo contraddizioni e alterazioni che cominciano anche a essere visibili nei loro effetti sociali.
Un caso rivelatore è l’esistenza di una lista molto chiaccherata dei tredici ristoranti privati più raccomandati dell’Avana, che, a quanto sembra, è stata elaborata da una giornalista britannica specializzata e legata con la nota GuidePal.
In quei ristoranti privati, alcuni aperti nella decade del ’90 e altri sotto la spinta delle recenti misure di flessibilizzazione dell’esistenza della piccola impresa privata, risulta possibile degustare cucina internazionale di eccellente livello e, a quanto si dice, di ricca varietà (curry e sushi inclusi), in ambienti esotici, modernisti, tipici cubani o molto famigliari, a prezzi più che attraenti per un portafoglio nordamericano, britannico o anche, nonostante la crisi, del continente europeo.
Con piatti i cui prezzi si aggirano sui 10 cuc, i pesos convertibili cubani (più o meno 8 euro), un commensale può godersi in quei posti una piacevole serata avanera, con birra gelata e qualche bicchiere di buon vino, curato dai migliori chef della città e servito da giovani cameriere, tutto per la modica somma di una ventina di euro. Ossia qualcosa come il salario medio cubano di un mese…
Tuttavia, come a dimostrare che le cose non sono poi così cambiate, vicinissimo a qualcuno di questi ristoranti privati alla moda, ce n’è uno ancora retto dall’impresa statale dove, per cercare di reggere la concorrenza, i prezzi risultano molto più accessibili. Diciamo, un 70 pesos cubani (ossia 3 cuc, quindi un settimo del salario medio mensile) per un piatto poco sofisticato di cucina cinese, una cifra che non pesa troppo sul portafoglio del consumatore cubano in un ristorante statale dove, nel miglior stile socialista, non si spende troppo, non ci sono né dolci né caffè alla fine del pranzo, perché «la macchina è rotta».
La distanza esistente fra i clamorosi ristoranti privati di cui scrive la giornalista britannica e quelli ancora gestiti dallo Stato, afflitti dalla sua tradizionale inefficienza, segna lo spazio fra due realtà che si confrontano al livello più basso dell’economia cubana ma che, prima o poi, si riprodurrà ad altri livelli.
Però, allo stesso tempo, l’abisso apertosi fra le due offerte gastronomiche e i salari reali o ufficiali cubani risulta vertiginoso e fortemente rappresentativo delle capacità economiche di una maggioranza della popolazione cubana, i cui salari bastano a stento alla sopravvivenza, come ha riconosciuto anche il governo.
Perciò, mentre il perduto glamour ritorna in certi posti dell’Avana dove, nonostante la crisi, un piccolo settore della società celebra la sua vendemmia e attende il cambio delle leggi migratorie per andare a farsi una vacanza a Cancún, in un isolato angolo del paese un campesino di più di 80 anni, senza nessuna pensione, deve lavorare tutto il santo giorno portando l’acqua verso un villaggio che ne è privo.
Quel campesino ottuagenario, per di più, la notte deve dormire accanto al cavallo che lo aiuta nel lavoro, perché se gli rubano l’animale perde la sua unica fonte di sussistenza. Per quel campesino, intervistato in un documentario trasmesso dalla televisione cubana, sembra che l’esistenza di una lista di ristoranti avaneri, raccomandanti da una giornalista britannica, è qualcosa di così remoto e inaccessibile come l’idea di un viaggio sulla luna, nel caso non ci fossero restrizioni per farlo.
*Giornalista e scrittore cubano
** ©Ips-ilmanifesto
*** Traduzione Maurizio Matteuzzi
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El otro paredon – L’altro muro
Interventi di Rafael Rojas, Uva de Aragón, Juan Antonio Blanco, Ana Julia Faya, Carlos alberto Montaner, Gordiano Lupi
Prefazione di Ramón Guillermo Aveledo
Ci sono molti modi per distruggere una persona, una di quelle è togliendole prestigio. Per la prima volta accademici e giornalisti con diverse idee politiche analizzano i metodi con cui il governo cubano, da oltre mezzo secolo, demolisce le reputazioni di persone e gruppi sociali. Questa seconda edizione ampliata si avvale della prefazione del noto accademico venezuelano Ramón Guillermo Aveledo e di un articolo dello scrittore e giornalista italiano Gordiano Lupi, traduttore del blog Generación Y di Yoani Sánchez.
Se diamo retta alla propaganda governativa, a Cuba, tra le persone che si oppongono al sistema, preoccupate per il destino nazionale e senza aver commesso alcun crimine, non c’è una sola persona decente. Tutti coloro che osano emettere una critica sono immediatamente definiti terroristi, traditori della patria, malfattori o amorali.
Yoani Sanchez
Dal post “Delinquenti comuni” nel blog Generación Y
In questo libro, non affrontiamo la distruzione di reputazione che potrebbe sviluppare un partito politico di opposizione contro il governo o un gruppo di consumatori insoddisfatti contro un ristorante. Non stiamo parlando di diffamazioni personali o di critiche istituzionali. Ci riferiamo a una forma organizzata di terrorismo statale orientato verso la deliberata e completa distruzione della credibilità di una persona, gruppo o istituzione.
El otro paredón esamina questo tema alla luce dell’esperienza cubana ricorrendo a diversi esempi: il politico Carlos Márquez Sterling, l’impresario Amadeo Barletta, il giornalista Carlos Alberto Montaner e centri di studio accademici creati dallo stesso regime.
Rafael Rojas, noto intellettuale e storico delle idee cubane più rilevanti della sua generazione, centra la sua analisi sul fatto che il regime cubano si è sempre impegnato a fondo per costruire una storiografia ufficiale che contribuisca a legittimarlo.
Uva de Aragón, importante scrittrice dell’esilio storico cubano, impegnata in una politica di riconciliazione, analizza il modo in cui la classe politica precedente alla rivoluzione sia stata demonizzata e l’arbitrarietà dei giudizi che hanno infangato la reputazione di uomini come suo padre, il Dr. Carlos Márquez Sterling, presidente dell’Assemblea Costituente nel 1940.
Juan Antonio Blanco incentra il suo lavoro sull’impresario Amadeo Barletta e mostra come il governo cubano sia riuscito a demolire la sua reputazione, in primo luogo per confiscare arbitrariamente i suoi beni, quindi per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale quando, nel 1989, le strutture militari cubane sono state coinvolte in uno scandalo per operazioni di narcotraffico.
Altri due autori, Ana Julia Faya e Carlos Alberto Montaner, espongono come anche partendo da prospettive opposte (marxista e liberale), entrambi siano stati vittime di questa sorta di terrorismo di Stato che è la demolizione della reputazione.
Gordiano Lupi, scrittore italiano e giornalista specializzato in Cuba, espone le campagne di demolizione della reputazione della blogger cubana Yoani Sánchez in Italia.
Gli storici devono fare uso di una metodologia rigorosa e imparziale per determinare il comportamento di ogni persona. I fatti vanno contestualizzati per poter capire bene le rispettive posizioni. La riconciliazione tra cubani reclama un rispetto della storia e dei comportamenti dei singoli protagonisti.