CUBA, Amo esta Isla…soy del Caribe

L’audiovisivo “Cuba, Amo Esta Isla” (online in youtube) è un omaggio al popolo e alla cultura cubana e non è una adesione al sistema politico del Paese. Un potpourri di immagini e suoni dell’Isla Grande di Gianfry Grilli

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YASMIN LEVY canta LIBERTAD (intervista)

4. novembre 2012 – 22:38One Comment
YASMIN LEVY canta LIBERTAD  (intervista)

Da Gerusalemme un canto di libertà per tutte le donne del mondo intonato in ladino moderno, flamenco, tango, fado, latin-pop arricchito di accenti mediorientali e fraseggi jazz.  Gian Franco Grilli  ha realizzato in anteprima una lunga intervista all’artista di origine sefardita Yasmin Levy, protagonista del nuovo progetto discografico intitolato Libertad (World Village – distr. Ducale).


Chi è Yasmin Levy?

Nata nel 1975 a Gerusalemme, città dove sono poi cresciuta, canto in ladino, spagnolo, ebreo antico e interpreto brani di mia composizione, ma anche alcuni temi della tradizione, con un mio particolare stile che si richiama a flamenco e fado.

Ti sei dedicata alla musica per scelta e a che età?

Ho alle spalle una famiglia di artisti, i miei genitori erano musicisti e cantanti: mio padre, Isaac Levy, era un importante musicista e musicologo che morì quando io avevo appena un anno. Non voleva che i suoi figli diventassero musicisti perché le condizioni di vita dei musicisti non erano facili e forse anche per la forma di pensare degli ebrei. Ad esempio,  mio padre conobbe mia madre quando lei aveva diciassette anni e avrebbe voluto fare la cantante. Lui però non gradiva una moglie vocalist ma una donna che si occupasse della casa, dei figli e della famiglia. Pensava che i figli avrebbero dovuto imparare a suonare il pianoforte non per diventare professionisti delle note ma solo pianisti per suonare alle feste in famiglia. Come carriera avremmo dovuto scegliere tra medico, avvocato o professioni di questo tipo.  Io avrei voluto fare il medico veterinario perché amo gli animali, ma a ventidue anni scoprii che ero nata per cantare. Quindi, con tutto il rispetto che ho per mio padre, alla fine e dopo tanti anni ho scelto di ascoltare il mio cuore incominciando a cantare. Così a ventiquattro anni ho inciso il mio primo disco.

Quindi sai suonare il pianoforte e altri strumenti?

A orecchio potrei suonare vari strumenti ma mi dedico soprattutto al pianoforte che ho studiato privatamente con un professore, come del resto hanno fatto anche i miei fratelli. Per rispettare la tradizione di famiglia i nostri ragazzi dovranno anche loro studiare, come fatto educativo, almeno uno strumento. Io comunque rappresento l’eccezione: sono l’unica musicista di professione di tutta la famiglia. Nello specifico ho studiato musica classica e sono cresciuta ascoltando musica sefardita, ma non solo. Infatti tra le mie preferenze musicali, oltre a quelle già citate, devi aggiungere il jazz, musiche dellaTurchia, della Grecia, dell’Egitto,  un po’ di tutto. Adoro Edith Piaf, Billie Holiday e altre voci.

Insomma, ami le musiche del mondo, ma ti ritieni un’ambasciatrice musicale della tua comunità?

Se potessi scegliere nuovamente, ti confesso che il mio grande sogno sarebbe stato quello di diventare una cantante d’opera perché credo che la voce nell’opera è simile alla voce di Dio. Da giovanissima sognavo di diventare una popstar  ma oggi mi sento orgogliosa di rappresentare in giro per il mondo le musiche della mia cultura.

Puoi farci un breve quadretto delle tradizioni musicali della tua cultura?

Prima di tutto dobbiamo tenere presente che la musica sefardita e il ladino non sono nati per stare sul palcoscenico. Non sono canzoni per i concerti, ma pezzi che i giudei cantavano per l’anima in quanto quella musica, il ladino e la memoria erano le uniche cose che gli ebrei poterono portare con sé quando furono espulsi cinquecento anni fa dalla Spagna. Direi che solamente negli ultimi cinquant’anni abbiamo cantato queste canzoni anche per il pubblico e si tratta di canzoni che le donne cantavano mentre facevano i lavori di casa e che gli uomini intonavano nella sinagoga, cioè canti liturgici. Non sono canzoni difficili da interpretare, la musica sefardita si canta  come una ninna nanna, con molto amore, è molto delicata, ma senza passione, è un canto di testa.

Il canto (come anche la poesia) in molte culture è una terapia contro il dolore, l’abbandono, ma non c’è necessariamente sofferenza. E il tuo cantare ha un po’ di queste caratteristiche?

Il nostro è un canto molto melodrammatico, ma la maggioranza delle persone del pubblico mi chiedono spesso del perché di tanta malinconia, perché di tanta tristezza. E’ vero in questo repertorio c’è molta tristezza e io paradossalmente mi esprimo al meglio quando c’è questo clima cupo.

Ma tu sei una persona triste o felice? E quando componi in che stato d’animo devi essere perché tutto fili liscio?

Quando sono allegra io non posso scrivere,  né comporre musica, né fare nulla. La tristezza invece mi dà energia creativa.

C’è un denominatore comune tra canto ladino, bossanova, fado, tango o rebetika?

Direi che il fado ha molto in comune con il canto ladino, con la musica sefardita. Il ladino ha una storia di 500 anni mentre il fado ne ha 200 anni, però è la stessa cosa poiché la gente cantava fatti della vita,  le sofferenze, il dolore, le situazioni quotidiane. E anche le altre espressioni artistiche che hai ricordato credo abbiano elementi in comune con il mio canto.

Il ladino ha un futuro o è un lingua in via di estinzione?

Sì, è un idioma che sta scomparendo e nel mondo ci sono circa 150.000 persone che lo parlano. Io conosco il ladino perché è molto simile allo spagnolo, la mia generazione non lo parla più, mentre è praticato ancora dai nostri ottantenni.  Tra cinquant’anni nessuno parlerà più questa lingua,  è un peccato. Ciò che invece continuerà a vivere di questa cultura sono le canzoni.

Quante lingue parli?

Ebreo, ovviamente, poi discretamente inglese, spagnolo, francese e  un po’ l’arabo.

Quali sono i paesi dove hai maggior successo di pubblico?

Turchia e Iran (dove però non posso andare perché sono israeliana). Nei paesi islamici, curiosamente, la mia musica piace molto nonostante sia ebrea e di Israele, alla gente interessa il canto e il mio stile. Ho molti estimatori in Francia, Polonia, Mitteleuropa  e Stati Uniti, questi in sintesi  sono i mercati più importanti per me.

Ma in quei paesi quanta gente  capisce il testo delle tue canzoni in spagnolo?

Bella domanda, e per diversi motivi: la maggioranza del mio pubblico non conosce lo spagnolo ma apprezzano la mia interpretazione di questi brani. Prima viene il sentimento, il dolore o la tristezza che già la musica comunica e poi arriva il testo. Poi c’è da tenere presente questo: il pubblico, in generale, come ho appena detto non capisce il testo,  ma viene per piangere, è una cosa molto interessante e stupisce.

Hai avuto idoli o artisti che ti hanno influenzata più di altri?

Il mio guru, persona che adoro, è stato Antonio Molina, un cantante scomparso da molti anni e che mi fece scoprire mia mamma all’età di quindici o sedici anni. Molina mi cambiò la vita.  Confesso che amo le grandi voci, per esempio alcuni cantanti turchi o, per citare un nome per tutti, l’egiziana Oum Kalthoum, la Signora della canzone araba, che è la più importante voce di quella cultura molto amata anche dagli ebrei. Poi aggiungo la francese Edith Piaf e ovviamente la formidabile Maria Callas. In breve, mi piacciono le grandi cantanti e per questo mi riesce difficile amare voci con poca forza.

Parliamo di Libertad (World Village), l’album che hai appena lanciato sul mercato mondiale. Ho ascoltato diversi ingredienti ripresi dalla musica latin, dal tango al bolero alla salsa. Che rapporto hai con L’America Latina?

Sono andata in Messico e Panama però per poco tempo. La verità di quello che dici sta nel fatto che quando compongo le mie canzoni, non penso a qualcosa di specifico, ma scrivo quel che mi sento. Sono cresciuta a Gerusalemme dove c’è gente di tutto il mondo e quindi ho assimilato tutte le sonorità  del pianeta che sono arrivate nella mia città. Pertanto la musica che scrivo sgorga dall’anima, dal mio corpo o dalla mia mente in modo spontaneo.

Componi in modo spontaneo, d’accordo. Ma hai mai notato se arriva prima il ritmo, la melodia o il testo?

Non saprei proprio dare una priorità. Può succedere che esco per andare a comprare il latte e rientro a casa con il latte e una melodia. Oppure mi metto alla scrivania intentando di buttare giù una canzone e non mi esce nulla, e subito dopo, ad esempio, mentre parlo con te dalla mia testa arriva una nuova melodia e senza che io la cerchi. E’ strano ma è così.

Nelle note di copertina del cd si legge che il progetto è un mix di flamenco, tango argentino e fado.  Ma c’è di più. Sono riscontrabili anche sonorità mediterranee,  altri accenti americani (ottoni jazz che calano timbri growl e cool sulla trama flamenco-tanguera  in La Ultima Cancion), e delicati profumi mediorientali.  Direi, un succoso melting pot.

E’ molto bello quello che dici. Io sento la musica così, inoltre sono contenta  del tuo parere come italiano perché rappresenta un’ulteriore conferma alle centinaia di mail di apprezzamento che ricevo dall’Iran, dalla Grecia, dalla Turchia, dalla Spagna, dall’Inghilterra e da altri luoghi del mondo: ognuno mi dice  che sente nelle mie canzoni qualcosa della musica e delle tradizioni del suo paese. Questo mi rende molto felice, perché posso suonare dentro i loro cuori. Ci sono stili diversi dal flamenco all’arabo, dal tango argentino al son cubano. La Ultima Cancion la scrissi in un periodo molto difficile della mia vita ed temevo moltissimo che non l’avrei più cantata. E’ un canto dove dico addio al pubblico e fu molto triste.

Ciò che colpisce del brano è l’arrangiamento.

E’ frutto di quello che sento nel momento in cui scrivo e che debbo registrare: se nella mia mente sento la tromba gliela infilo e così vale per altri strumenti. Negli arrangiamenti ha collaborato la chitarrista Yechiel Hasson, israeliana,  bravissima, suona flamenco e lavoriamo assieme da dieci anni.

Dove hai studiato flamenco?

Sono stata  tre mesi a Siviglia per imparare le basi della musica andalusa, del flamenco, ma tengo a precisare che non canto flamenco. Sì, conosco i ritmi, canto e tento di far arrangiare i brani in stile flamenco, espressione che mi affascina e che  oramai è parte di me, ma non posso considerarmi una cantante di flamenco puro.

A proposito di purezza: la comunità sefardita è una realtà aperta alle contaminazioni oppure no? E come recepisce il tuo canto che rinnova la tradizione?

Qui viene la nota dolente: in passato ho ricevuto critiche da parte di sefarditi puristi poiché a loro non piace che io mescoli elementi di culture diverse perché così sopprimerei il ladino. Le mie contaminazioni non sono gradite, i tradizionalisti o puristi che dir si voglia sono abituati ad ascoltare le canzoni in una forma semplice. Io invece intreccio perché così facendo punto a raggiungere altri pubblici che non conoscono le nostre realtà, le nostre tradizioni, la nostra storia. Per un numero considerevole della nostra gente è quasi sacro salvaguardare le canzoni tradizionali. ma io la penso un po’ in maniera diversa: oggi non si può cantare il ladino a cappella e allora ricorro a fraseggi flamenco, ad esempio, inserendo il cajón o altro ancora, per allargare non solo il mio pubblico ma anche per diffondere la nostra identità e le nostre tradizioni in maniera moderna. In questo modo valorizzo, espando e preservo  la cultura dei miei antentati. Penso che sia importante creare canzoni  di ‘world music’ che catturino la curiosità di giovani di tutti il mondo, ma so bene che questa scelta produce anche dissenso.

E quindi intendi continuare in quella direzione?

Certo, ad esempio oggi per arricchire i miei progetti sto studiando qui in Israele il tango argentino.  Stavolta non potrò andare a fare un full immersion a Buenos Aires perché ho un bebé eppoi sto preparandomi per una tournee mondiale in cui presenterò il disco Libertad.

Già, Libertad o freedom. Cosa significa per te libertà?

Vuol dire tante cosei. Io parlo per le donne del mondo che non hanno nessuna libertà. Per noi avere la libertà è qualcosa di normale, ma c’è tantissima gente che non gode di nessun diritto umano. Una vita da inferno. Per lo più sto parlando di donne, però in Africa e in altre parti del mondo ci sono uomini, donne, bambini e anziani senza libertà. Anche qui in Israele e in Palestina molte donne non hanno libertà e bisogna lottare per ottenerla, per decidere liberamente come vivere, con chi volersi sposare, cosa fare nella società, che tipo di lavoro scegliere.

Ma gridare questa parola d’ordine da Tel Aviv non deve essere facile per una giovane artista come te?

Certamente, ma io non ho mai parlato di politica, perchè sono solo una musicista. La mia forma di comunicare è dire con le note ciò che sento e penso, e debbo dirti che trovo abbastanza sostegno per questo nostro impegno.

Un impegno, che a volte può essere anche allegro, affidandolo a vari linguaggi musicali, al pop latino o al ritmo di salsa, come nel finale della canzone Libertad, in cui fanno capolino modalità orchestrali in stile salsero (per esempio nel disegno dei fiati)  o accenti provenienti dal son cubano. Un’insieme di impegno, allegria è ballabilità.

Che dire, mi piace questo tuo interessante rilievo. Riguardo a quel fraseggio dei fiati non è stato molto studiato: mi è venuto in bocca in trenta secondi (e lo accenna con la voce – nda) e molto dipende da quella “vocina” che spesso si manifesta in me  come risultato delle esperienze che incorporo durante la vita di tutti i giorni.

Invece molto arabeggiante e sensuale, mi è parsa la traccia Firuze. Che significa, innanzitutto, quella parola e cosa ne pensi?

Firuze è il nome di una donna e questa è una canzone turca molto antica che ho fatto tradurre in spagnolo. Parla di una ragazza di una bellezza incomparabile, a volte è bella come il mare, a volte come il cielo, e il testo dice che un giorno Firuze dovrà pagare per questo suo fascino.

Passiamo a Olvidate de mi e Cada Dia: mi sembrano i brani più declinati a flamenco ?

Soprattutto Cada Dia è “aflamencata”,  è buleria, uno degli stili del flamenco. Olvidate de Mi, che ho dedicato a mia zia scomparsa un anno fa, è flamenco soprattutto dal punto di vista ritmico e la conferma viene anche dalla preziosa voce di Concha Buika, ospite speciale.

E gli altri musicisti che hanno collaborato sono israeliani o stranieri?

Sono israeliani a cui vanno aggiunti gli artisti dell’Orchestra d’Archi di Istanbul. Questo è stato un sogno per me in quanto le mie radici sono spagnole e turche perché dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna i miei avi andarono a vivere in Turchia per cinquecento anni  e quando nacque mio padre la famiglia si trasferì qui a Gerusalemme, dove io sono stata la prima della mia stirpe a nascere in questa città. Quindi, ripeto, sono contenta di essere riuscita a coronare il sogno di unire le mie due culture di provenienza, la musica spagnola, il flamenco e la musica della Turchia. I miei due dischi precedenti, Sentir e Mano Suave, li realizzai invece con  musicisti stranieri, un mix  di artisti provenienti da Spagna,  Egitto, Turchia,  Cuba,  Iran, Armenia.

Parlaci dei significati di Skalerikas de Oro e Aman Doktor.

La prima, che in spagnolo significa “Scala d’oro”, è una canzone di matrimonio. Aman Doktor in turco vuole dire “Dottore, aiutami”.

Una parola in ladino che ti piace moltissimo?

Ven kerida (vieni amore mio) che è anche il titolo di una canzone che i miei genitori cantavano sempre e si può dire che sono cresciuta ascoltando quel canto.

C’è uno strumento  che non può mancare mai nei tuoi progetti musicali?

Finora è stata la chitarra. In futuro penso che un punto di riferimento importante sarà la fisarmonica.

Conosci cantanti italiani e la nostra Penisola?

Purtroppo non so quasi nulla. In Italia sono stata soprattutto in Sicilia, mi sembra per  quattro o cinque concerti, e ho ancora poco pubblico in Italia, anche se alcuni italiani vengono ad ascoltarmi quando canto in Francia o in Inghilterra.

Hai già in mente come sarà il prossimo disco?

La mia idea è di cimentarmi con il tango,  ma ora penso alla tournée per presentare Libertad. E sono emozionata ancora prima di partire. Intanto ti ringrazio per questa intervista che permetterà di farmi conoscere meglio agli italiani e al pubblico internazionale che segue il vostro webmagazine dedicato al mondo latinoamericano.

Intervista di Gian Franco Grilli

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Foto: courtesy Ali Taskiran

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