CUBA: Rubén Chaviano, archetto crossover incantato dalla natura
Rubén Chaviano, 43 anni, violinista di Santa Clara, racconta in questa intervista (che è anche un mini vademecum sulla musica di Cuba) a Gian Franco Grilli di aver “riscoperto il patrimonio della musica afrocubana grazie al “guru” italiano Roberto “Mamey”Evangelisti”. Il talentuoso archetto, residente a Firenze, divide la sua giornata tra musica, insegnamento, libri, attività fisica e biowatching. Il suo cd più recente è “Incontri” con il quartetto Note Noire. Leggi il testo e guarda due video.
Cubano, parla un buonissimo italiano con cadenze fiorentine, compositore, Rubén Chaviano è innanzitutto un virtuoso del violino che ama sperimentare e interagire con la “biodiversità” sonora del mondo. Dalla musica classica al danzón, dal klezmer al gypsy jazz ha attraversato tutti gli stili suonando con jazzisti del calibro di Steve Lacy, Trilok Gurtu, Horacio “El Negro” Hernandez, Alfredo Rodriguez, Javier Girotto o con artisti pop come Lorenzo Jovanotti, Max Gazzé e Franco Califano, Parallelamente ha creato vari progetti tra cui Alta Madera. Da oltre vent’anni vive in Italia ed è qui, grazie alla Charanga Mamey del “guru” Roberto Evangelisti, che ha riscoperto il valore del grande patrimonio della musica afrocubana. Strano, ma vero. Con questa lunga intervista (che è anche un piccolo vademecum sulla musica di Cuba) ripercorriamo il percorso umano e artistico di un musicista atipico, per certi versi molto europeo, e che si distingue tra i mille e oltre suoi connazionali conosciuti da chi scrive. Divide la sua giornata tra musica, insegnamento, libri, attività fisica e la passione sfrenata per l’ornitologia e l’osservazione degli animali in ambienti naturali. Come a dire: le sue mani si muovono tra violino e binocolo.
Chi è Rubén Chaviano Fabian?
Sono nato il 7 novembre 1969 a Santa Clara, Cuba. Nella mia famiglia un po’ di tradizione musicale viene dalla vena materna: mio nonno Agustin Fabian era un musicista autodidatta, dilettante, colui che mi ha inculcato la musica e soprattutto il violino. Dalla parte di mio padre erano tutti negati per la musica.
Ti ricordi la prima volta che hai imbracciato un violino?
Ero piccolo, avrò avuto 6 anni e il violino l’aveva trovato mio nonno, era qualcosa a metà tra il giocattolo e lo pseudostrumento, era un violino semplice, di legno, molto alternativo, ma suonava, e quando andavo a dormire lo mettevo sotto il letto senza custodia. Una volta me lo dimenticai per moltissimo tempo e quando andai a prenderlo era stato rosicchiato da qualche animale. Ogni tanto lo suonavo e fu mio nonno a insegnarmi i primi rudimenti musicali, mi portò da vari insegnanti per capire se ero tagliato per la musica. Così iniziai il percorso musicale al conservatorio di Santa Clara “Olga Alonso Gonzales” che si trovava dentro una vecchia casa coloniale, molto bella.
In cosa consisteva l’esame di ammissione al conservatorio?
Era molto legato alla musicalità e al ritmo. Dovevi essere capace di intonare e ripetere delle melodie suonate da un pianoforte, di rifare dei ritmi proposti dai maestri. In sintesi, dovevano scoprire in te una vocazione musicale. Durante gli studi ho avuto fortuna perché in quel periodo, siamo alla fine degli anni Settanta, c’erano a Cuba degli insegnanti russi, ottimi maestri che parlavano a malapena un mix di russo-spagnolo. Loro mi hanno aiutato tantissimo, sopratutto insistono molto sulla tecnica con scale ed esercizi a non finire.
Parlaci del programma?
Per il Violino, Solfeggio e Storia della musica ci si rifaceva al repertorio classico, includendo però una buona parte della musica cubana, sia classica che popolare. Ti confesso però che fin da piccolo io avevo altre voglie di esprimermi con la musica e non eseguire gli spartiti o i metodi classici. Ricordo un aneddoto molto bello che riguarda mio nonno,il quale come mestiere faceva il calzolaio: il suo laboratorio era in un locale in fondo alla sua casa. Io mi mettevo a studiare nella stanzina di sopra, lui lavorava mentre sentiva cosa suonavo con il violino, mi controllava. Partivo con una cosa scritta, con un determinato brano, e succedeva che mi rompevo e cominciavo a “cambiare” le note. Siccome da lì si vedeva un panorama bellissimo, con i campanili del centro storico, i tetti delle case con le tegole che mi affascinavano fino al punto che i miei occhi si spostavano dallo spartito alle tegole, continuavo a guardare quel paesaggio di tegole, campanili eccetera e cominciavo a improvvisare, mi sentivo più contento così che suonare le parti scritte. All’inizio il nonno non se ne accorgeva ma dopo un po’ mi diceva: “oh, ma cosa stai facendo, cos’è quel che suoni”. E allora subito rientravo nella realtà.
Considerando gli stretti rapporti politici tra il governo cubano e quelli del blocco sovietico, in quegli anni era frequente vedere cubani partire verso i paesi dell’Est per specializzarsi nelle diverse discipline con borse di studio e altro.
A Cuba esiste un sistema di studi molto lungo e quindi succede che per vari motivi io non ho concluso la carriera completa. Ma ho avuto fortuna perché quando stavo per finire gli studi mi è stato proposto di andare a suonare nell’orchestra sinfonica di Santa Clara, avevo circa 17 anni. Io avevo voglia di suonare, di fare esperienze più che di dedicarmi sempre allo studio, e così mentre lavoravo con la Sinfonica facevo studi paralleli, alternativi, e riuscii a condensare in pochi anni la parte di studi che non avevo terminato al conservatorio. Comunque in quegli anni veniva già fuori la mia voglia di fare cose diverse, di improvvisare, tanta era la smania che durante le prove con l’orchestra sinfonica il direttore mi richiamava all’ordine: “Chaviano, cosa sta suonando?”. Ad esempio, se a me stava stretto un accordo di Re7, perché sentivo che si potevano inserire altre note, io ci infilavo una nona bemolle o altro. Quindi ero sempre lì a rompere le balle, e anche nelle pause andavo al piano e cercavo di suonare cose diverse, frammenti di jazz che ascoltavo in casa di amici. Quindi puoi immaginare il tipo di “fama” che mi ero fatto in quell’ambiente classico.
Allora parliamo un po’ dell’ambiente popolare, della calle, dove si intonano rumba, trova, bolero, bembé.
Santa Clara, a mio avviso e soprattutto nel tempo in cui io ero ragazzino, non dava importanza al mondo popolare, ma ora se ritorno mentalmente alla mia infanzia ricordo che mi addormentavo ascoltando i bembè che organizzavano la domenica i fedeli di quei rituali che vivevano dietro casa mia. Quelle feste di canti e ritmi duravano ore. Oppure nel periodo del carnevale sentivo la charanga, e quelli che sono stati i miei ultimi insegnanti erano tutti musicisti famosi di charanga, in gruppi come l’Orquesta Aliamen.
Deduco che trascuravi un po’ la musica popolare cubana, ma puoi consolarti perché non sei stato l’unico della tua generazione: ho conosciuto altri musicisti cubani che in gioventù snobbavano la musica dei “vecchi”.
A questo proposito dovrei fare un altro salto indietro nel tempo. Sinceramente, per quanto mi riguarda, la riscoperta della tradizione cubana avviene negli ultimi anni che ho vissuto a Cuba ma soprattutto ne ho capito l’importanza qui in Italia. Se vogliamo essere precisi, riscopro la musica cubana quando conosco Roberto “Mamey” Evangelisti a Roma. Era il 1993 e lui voleva realizzare un’orchestra in stile Charanga tra ragazzi romani appassionati da molto tempo di musica cubana. Quindi quando venne a sapere che ero arrivato io e un pianista cubano, Carlos Sarmiento, decise di partire con questo progetto musicale, un mondo sonoro che per me era roba nuova, ma che l’avevo dentro avendolo assorbito in qualche modo nella mia terra. E così mi è bastato pochissimo per tirarlo fuori.
Vuoi dire il mondo che ruota attorno a danzón, danzonetes eccetera….
Il sabato andavo a pranzo dal nonno e lui metteva sul giradischi dei vinili di danzones, danzonetes, canzoni di Benny Moré, altri stili cubani e niente di musica classica. Quindi fin da piccolo respiravo questa musica perché mio nonno oltre ad amarla la suonava da dilettante. Comunque anche la nonna aveva un duo con sua sorella e cantavano vieja trova alla Radio. Pertanto queste tradizioni le ho vissute di riflesso.
Andiamo avanti. Ci sono cellule musicali comuni tra danzón, habanera e tango?
In ordine filologico c’è la habanera, poi il danzón e anche il tango prende spunti da questa figura ritmica che li accomuna.
Si dibatte molto sul danzón, come figlio della corrente europea (ispanica, ma anche italiana, francese ecc.). Tu che ne pensi?
Beh, se parliamo del danzón, devo dirti che è una forma a sé, unica, poiché si basa sul Cinquillo Cubano (ritmo composto in due battute). E pensa che nella parte cantata di tanti danzones si riprendevano dei motivi famosi classici e anche jazzistici, da Rossini a Gershwin. Quindi considero il danzón l’origine di molte musiche popolare latinoamericane, anche se è chiaro che il resto della musica cubana è fatta di collegamenti stretti tra le varie forme dove la clave cubana fa da cerniera a tutto ciò.
Completiamo il discorso interrotto poc’anzi sulla Charanga Mamey.
Altro momento importante fu quando arrivò il grande ballerino-cantante cubano Luis Chacón “Aspirina”, un tipo estroso che certamente ha aiutato in modo incredibile il decollo di questa orchestra. Per quanto riguarda le mie conoscenze sul versante filologico della musica afrocubana devo molto a Roberto Evangelisti (foto a destra): lo ripeto, è grazie a lui che ho conosciuto e potuto suonare per diversi anni con il grande pianista Alfredo Rodriguez.
Conoscendo l’orgoglio e una certa sensibilità che anima molti cubani, per me è imbarazzante toccare l’argomento, ma non posso farne a meno: da musicista cubano, e con un’ottima preparazione alle spalle, come hai vissuto intimamente il fatto di essere stato guidato da un italiano alla ri-scoperta di tradizioni culturali, folkoriche e musicali della tua terra?
Io ho un mio modo di ragionare, molto tranquillo, e ti dico che è stata molto bella questa cosa anche perché dipende dalla persona che hai di fronte. Roberto è una persona con un garbo e un’eleganza davvero eccezionali, e molto dotto nella musica afrocubana. E’ in gambissima, ti fa entrare nel ruolo in modo assoluto. A Cuba ne riconoscono i meriti anche tanti autorevoli specialisti. Oggi il mondo legato alla musica cubana è tutto mix, si è modernizzato molto, le congas si suonano con più libertà, la clave non la si mette sempre, eccetera. La Charanga Mamey è stata una bellissima esperienza e lì ho ritrovato la musica cubana a 360 gradi, perché ho riscoperto il violino charanguero e da lì tutti i nomi più importanti di quel genere. Ho avuto anche modo di immergermi nei rituali afrocubani meno conosciuti come il Palo, l’Abakuà e così via. Quindi mi sono ri-fatto una cultura profonda grazie anche a Roberto.
Poc’anzi hai citato Alfredo Rodriguez: diciamo subito che non è l’omonimo giovane pianista cubano scoperto recentemente da Quincy Jones, ma stiamo parlando del musicista che lasciò Cuba nel 1966 per New York e successivamente andò a Parigi.
Sì, ha vissuto diversi anni negli USA suonando con Pacheco, Patato Valdes, Tito Puente, Gillespie e tanti altri, poi come tanti musicisti approdò a Parigi. Io ho avuto la fortuna e l’onore di suonare con Alfredo Rodriguez & Los Acerekô, con musicisti del calibro di Tata Güines (congas), Luis “Changuito” Quintana (timbales), Bobby Carcassés (voce, tromba), Oscar Valdés (ex vocalist di Irakere), ai fiati c’erano José Carlos Acosta (sax, il primo sassofonista di Emiliano Salvador), alla tromba, ”Machadito” Manuel Machado (tromba, che suonava con Afrocuba e nell’ultimo periodo con Irakere, è di Santa Clara anche lui). Ma tornando ad Alfredo, quando io arrivo a Parigi per la prima volta, nel 1997 o 1998, non ricordo bene, ero lì per una riunione e il giorno dopo si partiva per le prove generali di questo grande gruppo che allora non era ancora Acerekô ma si chiamava Cuba Linda, in cui c’erano 4 o 5 elementi della conga de Los Hoyos di Santiago de Cuba con i tamburi della tumba francesa, Comunque era un mix tra la conga de Los Hoyos, El Goyo, mitico cantante abakuà, poi c’era suo figlio ai timbales. Inoltre a Parigi mi ritrovo che al violino c’è il mio ex maestro, Lazarito Gonzalez, violinista dell’Orquesta Aragón, storico musicista con il quale avevo studiato e che non vedevo da 15 anni.
Dopo questo incontro hai cominciato a lavorare come …
…. come solista, come leader o collaborando con altri gruppi. Con la Charanga Mamey avevo un ruolo di primo violino e solista, si utilizzava molto el guajeo con il violino…
Fermati! Per arricchire il glossario dei nostri lettori, spiegaci questo vocabolo del cubanismo: cos’è il guajeo?
Montuno è un termine che usiamo per riferirci alla parte più ballabile di una canzone, quando il giro armonico si riduce a 4 accordi, le percussioni incalzano, il coro ripete di continuo e dialoga con il cantante, detto sonero o pregón. Per tornare alla domanda: comunemente si dice montuno, ma quel disegno svolto dal violino si chiama guajeo, una parola molto vecchia che risale ai tempi della nascita della charanga; il pattern del basso è il tumbao e quello del pianoforte è il montuno. Per capire bene questo dobbiamo tenere presente che questa musica nacque per far ballare i nostri nonni e quindi quando iniziavano a ballare dovevi tenere alta la tensione, e questo avveniva con il montuno: pertanto si esponeva un tema bello, coinvolgente, ma poi dovevi andare al sodo e ci infilavi un corettino che andava di moda in quel periodo per allungare il pezzo e per far divertire la gente ballando sul montuno. Quindi tutto ruotava attorno al ballo.
Proseguiamo con i tuoi progetti elaborati in Italia.
A parte questo periodo iniziale molto charanguero, avevo il quintetto Puente Latino con cui suonavamo cose simili allo stile di Alfredo De La Fé, violinista importantissimo, nato a Cuba ma vissuto in Colombia. Ma il mio vero obiettivo era ed è Alta Madera (www.altamadera.it), che vuol dire legno pregiato, un trio che ho creato con persone che avevano semplicemente la passione e non conoscevano la clave, i segreti dei ritmi cubani, gli incastri con le congas, eccetera. Cosa ho fatto? Ho provato a passare a tre strumenti del mondo “classico”, cioè basso, chitarra e violino, tutti i movimenti ritmici delle percussioni, provando in cantina una volta alla settimana per ben dieci anni con Mino Cavallo, chitarra, e Filippo Pedol, basso, due amici che poi si sono appassionati e innamorati di questa musica. L’amicizia è stata la base fondamentale che ha permesso di andare avanti in questo progetto dove io ho scritto quasi tutte le musiche, che ho poi arrangiate spesso con Cavallo, chitarrista armonicamente molto preparato. Questo trio l’ho voluto per comunicare l’universalità della musica cubana e allo stesso tempo per smontare lo stereotipo su Cuba equivalente a sigari, rum, ballo e muchachas. Ricordo che il multipercussionista indiano Trilok Gurtu ci disse che “anche noi indiani abbiamo una specie di clave ma nelle tablas non la mettiamo in evidenza come voi cubani” e quando incastrò i suoi ritmi con le tablas alle nostre musiche scaturì qualcosa di pazzesco, sembrava che fosse musica nata secoli fa. Un intreccio perfetto, tanto preciso che la stampa scrisse “successo di rumba con le tablas”. Tutto questo lo si può vedere e ascoltare nei video presenti sulla rete.
Però le ritmiche disegnate dalle tablas nella musica indiana sono complicatissime, mentre la clave sembra concentrata dentro due misure oppure sbaglio?
Sì, la clave si muove in due battute in tempo binario, ma Trilok tra i suoi mille ritmi ne ha trovato uno che era il più adatto da combinare con la nostra musica. Comunque mi ha fatto capire che quella figura ritmica era la più somigliante alla clave cubana. Potrei aggiungere, per allargare il discorso, che nel tango c’è una mezza clave, cioè ha una battuta della clave.
Non è azzardato dunque sostenere che la sincope va oltre le musiche afro-americane…
Beh l’apporto degli africani nelle musiche delle Americhe è stato importantissimo, ma direi che i cubani hanno veramente fatto una grande svolta: hanno creolizzato la contraddanza francese, hanno cubanizzato le tradizioni delle musiche dell’Africa occidentale; noi abbiamo fatto una rivoluzione musicale, originalissima. Tanto che gli stessi nigeriani ascoltando nostre musiche non riconoscono più certe parole provenienti dalla loro tradizione e che invece per i cubani sono l’attualità. Certo, se ci addentriamo nelle musiche religiose di origini africane anch’io non sono in grado di parlartene, è un mondo complesso…
Già, musiche sincretiche, religioni popolari. Sei fedele a qualche Orichas?
Quando sono tornato a Cuba dopo otto anni all’estero andai al Sabado de la rumba di Playa, quartiere dell’Avana. E nel riconoscere i cori che avevo appreso e suonato qui Italia iniziai a piangere dall’emozione perché vedere suonare da cubani la rumba e i toque afro è una cosa da brividi, unica; né in Africa né in altre parti del mondo viene suonata con tanta intensità quella musica. Vedevo gente che era intervenuta con i loro migliori vestiti perché quell’evento rappresenta un momento importantissimo e lo vivono con una serietà e una rigorosità incredibili. Da bambino avevo appena sfiorato quel mondo ma non ne ero attratto perché io volevo fare altre cose, studiare musica classica, e il jazz da giovanotto.
Cambiamo registro. Ti riguarda il refrain che recitano spesso i cubani “el que no tiene de congo, tiene de carabalì”?
Sia dalla parte del padre che della madre ci sono antenati provenienti dalla Spagna, quindi non sono frutto di una mezcla, di un incrocio mulatto, anche se ho le labbra un po’ pronunciate.
“Calle San Lasaro”, brano tuo e traccia 6 del cd Velas con Alta Madera, è un omaggio al santo cattolico Lazzaro, che a Cuba è sincretizzato con l’orisha Babalu Ayé, o è dedicato alla strada avanera?
Mi fa piacere che me lo chiedi perché su quel pezzo è successo un inconveniente. Ho commesso un errore nel scrivere Lazaro, comunque si riferisce alla strada: noi cubani certe consonati le pronunciamo un po’ alla nostra maniera. Così alla Siae scrissero “s”perché pronunciai la z come s. Altro esempio, anche nella “e” di Ruben io non ci mettevo l’accento perché in italiano non ci va l’accento nei nomi propri, così il mio è diventato un nome d’arte, e invece i miei amici sanno che io sono Rubén. Quel titolo, comunque, è dovuto alla nostalgia perché quando capitai a Venezia, molti anni fa, ero appena arrivato in Italia, vidi che le strade erano chiamate “calle” e allora mi sentii un po’ a casa e scrissi questa composizione pensando esclusivamente alla strada dell’Avana, dove tra l’altro ho vissuto per un po’, e non a Babalu Ayé.
Quanti album hai registrato con Alta Madera?
In tutto tre, di cui l’ultimo è un live dal vivo con Gabriele Mirabassi, grande clarinettista che oltre alla classica, jazz e alla musica contemporanea è molto ferrato anche nella musica brasiliana. Assieme abbiamo fatto poi diversi concerti per questo disco En Vivo proposto da Materiali Sonori.
Altri progettI recenti con cui ha collaborato?
Ho lavorato in molte produzioni musicali ma la cosa veramente nuova è l’ensemble Note Noire con il quale abbiamo inciso il cd Incontri (Note Noire, 2013- www.notenoire.eu). E’ una novità perché mi porta a contatto in modo diretto con il mondo musicale dell’est dell’Europa, lavoro che si ispira a Django Reinhardt. Per me è bellissimo lavorare con il quartetto perché scopri che ci sta benissimo infilarci il 2/3 di clave, il mio montuno, il mio modo di suddividere le armonie e ti rendi conto che il tutto si incastra benissimo. Ora abbiamo scoperto un cantante francese che si chiama André Mienvielle, un percussionista che canta anche benissimo e il risultato è indescrivibile, con un tocco tzigano. Comunque alla fine viene sempre fuori la mia cubanità, il mio toque, anche quando suono jazz.
Ricordaci alcuni jazzisti, a parte Alfredo Rodriguez e Trilok Gurtu, e altri musicisti famosi con cui hai lavorato.
Qui in Italia ho collaborato con Javier Girotto, Steve Lacy in una colonna sonora scritta da Riccardo Fassi (pianista jazz), con Antonello Salis, un tipo di un’energia incredibile; con Steve Turre, che ha un po’ di sangue messicano. Ma tra gli altri, ho lavorato anche con Horacio “El Negro” Hernandez, Hernán López Nussa, Lorenzo Jovanotti, Max Gazzé, e anche con Franco Califano.
Ti piacerebbe “volver” a Santa Clara con uno dei tuoi progetti?
Certamente, perché immagino che lì qualcuno si ricorderà ancora di me e poi dalle nostre parti c’è sempre l’abitudine delle nuove generazioni di musicisti di parlare di quelli che li hanno preceduti: “il tale musicista che faceva jazz o quell’altro che improvvisava così ecc.”. Nel parco centrale di Santa Clara, di fronte al Teatro de La Caridad c’è la Glorieta dove si trovano dei musicisti che discutono animatamente su temi o personaggi del rock, del jazz o della musica cubana. Sarebbe molto bello “volver” con il mio gruppo a suonare al Teatro.
Torni spesso a Cuba per vacanze e visite ai famigliari? E ti assale mai in modo forte la nostalgia?
I miei famigliari vivono ancora tutti là, ma gli impegni di lavoro in Italia non mi consentono di andarci con una certa frequenza. L’ho detto a pochi, ma confesso a te – giacché me lo chiedi- che non ho mai sofferto tanto la nostalgia. Mi è mancato un po’ il fatto di non poter condividere certi momenti importanti con la famiglia, con mio fratello che ha avuto dei figli e che quasi non li conosco nemmeno; ma non parlerei di sofferenza per la lontananza dai miei genitori in quanto loro erano molto giovani quando partii, e in tutto questo tra noi c’era un po’ di complicità. Poi i moltissimi interessi che coltivo mi hanno aiutato a reggere meglio tutta la lontananza.
Allora parliamo di interessi, di tempo libero, di hobby, di vita quotidiana: raccontaci una giornata di Rubén?
Nel periodo invernale insegno a Firenze ai bambini delle scuole elementari dove svolgo un mio programma abbastanza ambizioso che consiste nell’aver fatto un’orchestra di percussioni, violini, violoncelli, tastiere con dei ragazzini che non hanno mai suonato. Io realizzo degli arrangiamenti molto semplici, suono il violino, faccio io il solista e a loro faccio fare cose di Brahms, ma anche delle semplici rumbe, canzoni cubane, ninne nanne. Si tratta di un impegno didattico che porto avanti da sette anni e questo occupa buona parte della mia giornata; nel tempo che avanza leggo, vado a fare concerti, poi mi interesso di ornitologia e di animali nel loro ambiente naturale, questo per me è affascinante, mi fa impazzire.
Per caso, come lo è stato per Airto Moreira, la tua musica trae ispirazione dal canto degli uccelli?
No, per me non è così, so che nella musica classica c’è Olivier Messiaen che ha trascritto molto sul canto degli uccelli, ma io gioisco nell’osservarli con il binocolo e nel loro habitat. Vedere questo è impagabile.
Credi che nella tua terra esistano livelli di sensibilità verso ambiente, natura, uccelli paragonabili a quelli degli italiani e degli europei?
Certamente è inferiore, siamo in un’altra fase, ci sono esigenze diverse, ma a Cuba esiste più biodiversità perché c’è meno inquinamento, smog; comunque c’è un buon numero di naturalisti nonostante le difficoltà che ci sono nella nostra isola di trovare libri e materiali speciifici.
Studi ancora la tecnica sullo strumento e quante ore al giorno?
Purtroppo studio poco, perché suono moltissimo e nella gestione del mio tempo mi diventa difficile ritagliare spazio per studiare come facevo una volta; ci vogliono altre condizioni, una giornata molto più lunga, ma…
Quindi non hai l’obiettivo di raggiungere o superare magari il tuo idolo del violino, sempre che tu ne abbia uno.
Per la verità credo oramai che nel violino non ci siano più idoli (per me), forse l’idolo si è girato verso i sassofoni e le trombe del jazz. Per esempio, io non ho mai seguito un idolo violinista ma guardavo altri strumentisti come la tromba di Freddie Hubbard, o boppers famosi perché volevo imitare il suono delle trombe o dei sassofoni con il violino. Per cui il mio modo di suonare molto spezzato, molto trombettistico (e me lo dicono in tanti) viene da lì, anche se ovviamente conosco i migliori violinisti.
In questo periodo che musica ascolti?
Francamente ne ascolto poca e ultimamente gli stimoli li trovo nella musica classica, da autori che non conoscevo.
Che libro stai leggendo?
Mi piacciono i libri di storia e di biografie di grandi personaggi.