JAZZ, BJF 2024: 21 ottobre-17 novembre, tra Bologna, Ferrara e Forlì

Pat Metheny sarà la principale star del Bologna Jazz Festival 2024, che annovera in questa edizione nei grandi teatri cittadini altri protagonisti di massimo rilievo come Mulatu Astatke, Cécile McLorin Salvant e McCoy Legends. Ma nei jazz club ci sarà una programmazione che, a nostro avviso, restituirà un’immagine più significativa, variegata e completa dei del jazz multicolore oggi.

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Puerto Rico: MIGUEL ZENÓN e il jazz panamericano

6. ottobre 2013 – 08:36One Comment
Puerto Rico: MIGUEL ZENÓN e il jazz panamericano

Il giovane sassofonista portoricano, che da oltre 17 anni vive a New York, oltre ad essere uno dei più importanti musicisti in circolazione è anche un riconosciuto ambasciatore del jazz nel mondo. In questa intervista di G.F. Grilli l’artista ripercorre il cammino iniziato a San Juan con la classica, approdato al jazz dell’idolo Charlie Parker  e che ora combina con plena, aguinaldo e linguaggi afrocaraibici. (+video)

Nato a San Juan di Puerto Rico, trentaseienne, sassofonista, compositore, Miguel Zenón  è uno dei più importanti musicisti in circolazione che, con rara maestria, riesce a coniugare jazz e tradizioni musicali dell’America latina, tra le quali spiccano su tutte plena e musica jibaro. Il suo infaticabile impegno nella riscoperta e valorizzazione delle musiche della sua terra d’origine, da un lato, e la volontà di diffondere i grandi maestri del jazz nelle campagne portoricane, dall’altro lato, sono stati premiati con riconoscimenti e importanti contributi economici elargiti da autorevoli fondazioni e istituzioni statunitensi. Il suo è un sax  multilingue, non conosce confini stilistici, e tra le innumerevoli collaborazioni vanta artisti del calibro di Edmar Castañeda, Andrés Montañez, Adam Cruz, Giovanni Hidalgo, Horacio “El Negro”, Brian Lynch, Paoli Mejias, Ray Barretto, The SFJAZZ Collective, Charlie Haden, Fred Hersh, Kenny Werner, David Sánchez, The Village Vanguard Orchestra, The Mingus Big Band, Bobby Hutcherson e Steve Coleman. Come bandleader ha registrato finora otto album dei quali, tra le altre cose, si parla in questa chiacchierata a ruota libera raccolta al Jazz Club di Ferrara nell’ambito di Crossroads 2013.

Da diversi anni vivi negli Stati Uniti, il paese che ti ha dato tantissimo per coronare il tuo sogno di jazzista, e ho letto che da qualche tempo ti impegni a diffondere il jazz nelle zone rurali della tua terra. Perché?

Sentivo l’esigenza di trasmettere l’amore per la musica e soprattutto per il jazz a tante persone del mio paese che sono molto distanti da questi linguaggi. Per fare questo sono stato aiutato da molte persone e verso le quali cerco di essere riconoscente estendendo ad altri un po’ dell’amore ricevuto.  Inoltre è un modo ulteriore per vincere delle barriere verso questa musica afroamericana e poi mi consente di ritornare con la mente all’inizio del mio percorso musicale dove poi ho trovato il jazz, la mia grande passione. Ma non ho mai dimenticato le sonorità delle mie origini.

Però nel concerto di questa sera, in compagnia del Laurent Coq ‘Rayuela’ Quartet, non mi è sembrato di sentire accenti caraibici, che invece sono presenti nelle tue produzioni.

Francamente non esiste nessun collegamento con i Caraibi in questo progetto, che è unicamente ispirato a un libro che si chiama Rayuela di Julio Cortázar. La musica che hai ascoltato, che è anche incisa nel mio settimo disco, è stata scritta pensando ai personaggi e a differenti passaggi del libro. Comunque quando suono qualche elemento caraibico ci sarà sempre, anche se molto marginale o nascosto, perché io vengo da lì,  da Portorico. Ma stasera, lo ripeto, non c’è stato nulla di specifico in quella direzione.

Giacchè siamo in tema, illustraci la tua discografia come leader.

Il primo disco, che risale al 2002, si chiamava Looking Forward, dell’etichetta spagnola Fresh Sound, poi ho realizzato cinque dischi per Marsalis music, la discografica di Brandford Marsalis: Ceremonial (2004), Jibaro (2005), Awake (2008), Esta Plena (2009), Alma Adentro (2011). Sono seguiti Rayuela (2012) con Sonnyside Records e l’ultimo Oye!!! Live in Puerto Rico (Miel Music 2013) registrato con The Rhythm Collective.

I titoli  appena citati in spagnolo sono quelli con maggiori elementi di tradizioni latine? E cos’è The Rhythm Collective?

E’ così, un paio di esempi sono Alma Adentro, che  è un omaggio alla canzone portoricana; oppure Jibaro è un viaggio dentro il nostro folklore; sono rivisitazioni delle nostre musiche combinate con l’estetica jazz. L’appassionato di latin potrà incontrare soddisfazione particolare anche con l’ultimo live, Oye!!!, in cui vi sono pezzi originali miei, più nostre versioni di Oye como va di Tito Puente e di El Necio del cubano Silvio Rodriguez. Rhythm Collective è una formazione di soli artisti portoricani: il sottoscritto, Aldemar Valentín, basso; Tony Escapa, batteria e Reinaldo de Jesus alle percussioni.

Sistemati i dischi, ora facciamo un salto indietro e iniziamo a costruire un tuo piccolo ritratto musicale.

I miei primi passi con le note li ho fatti con la musica classica quando avevo undici anni e dopo cominciai a suonare musica popolare, ballabile, salsa, merengue o tradizione come bomba e plena. Successivamente passai al jazz.

Quanti anni avevi quando ti sei avvicinato al jazz e con quale gruppo l’hai suonato per la prima volta?

Il mio primo approccio al jazz fu quando avevo 15 anni a San Juan, città dove sono nato. In quel periodo studiavo e mediante alcuni amici scoprii registrazioni di Charlie Parker, Miles Davis, John Coltrane e fui molto attratto dal concetto dell’improvvisazione dentro il linguaggio del jazz, i’intreccio dello strumento combinato con l’improvvisazione. Apro una parentesi per dire che non si improvvisa solo nel jazz. Bene, da lì in avanti decisi di fare il musicista grazie esclusivamente al jazz. Infatti prima mi piaceva la musica ma ero un po’ titubante se intraprendere la carriera, invece la scintilla dell’innamoramento forte scattò con il jazz.

Il tuo primo idolo?

Io ammiro moltissimi sassofonisti, ma il mio primo idolo fu Charlie Parker, che tuttavia continua ad essere la mia stella polare. Poi ne ho venerati altri come Coltrane, Cannonball Adderly, Sonny Rollins, Lee Koonitz, Ornette Coleman e tanti altri.

Quindi sei partito dal bebop…

Per necessità ho iniziato da lì, rispetto molto la tradizione  che ho studiato intensamente prima di arrivare al jazz moderno e a quello contemporaneo.

E se ti dico latin, cosa rispondi?

Che ho lavorato abbastanza per sviluppare i concetti basilari che stanno alla base del latin jazz, ossia la clave cubana, ma non solo. Posso dire che sono cresciuto a contatto con la musica folklorica portoricana e afrocaraibica in generale, ingredienti importanti per il latin.

Parliamo un po’ dei musicisti portoricani più importanti per te.

Beh, succede che a Portorico i musicisti più famosi sono compositori, nomi come Rafael Hernandez, che è forse il musicista più importante della storia di Puerto Rico, ha composto moltissime canzoni, musica classica, ha vissuto in vari paesi tra i quali anche Cuba e Messico. Era  una star mondiale, al punto che c’è chi crede che sia cubano e chi messicano. Lo stesso vale per altri compositori come Bobby Capo  o come Tite Curet Alonso, gran compositore che ha firmato molta musica per salsa e bolero. Entrambi, Bobby e Tite,  sono vissuti all’estero per alcuni periodi. Poi non va dimenticato Pedro Flores. Molti di quegli artisti erano componenti di quel fenomeno di  Latinoamericani, soprattutto portoricani e cubani, che hanno vissuto in momenti diversi negli Stati Uniti  contribuendo a diffondere a livello internazionale musiche popolari latine come bolero, mambo, conga, tango e salsa.

Nel latin jazz c’è un tuo connazionale che occupa il trono mondiale della percussione di scuola afrocubana, o afrocaraibica. Hai già capito che sto parlando…

… di Giovanni Hidalgo, un genio, il numero uno,  con il quale ho suonato molte volte. Ma ho suonato anche con altri percussionisti del nostro paese come ad esempio il bravissimo Paoli Mejias. La nostra è un’isola in cui ci sono musicisti di salsa, artisti di musica ballabile, c’è la Sonora Poncena eccetera.

E con i cubani hai lavorato?

Suono con molti di quelli che vivono a New York, i più giovani o più vicini alla mia generazione, cioè Yosvany Terry, Dafnis Prieto, Horacio “El Negro” Hernandez. Quando nel 2010 sono andato a Cuba ho suonato con diversi musicisti che vivono là.

In quale occasione e con chi?

Al festival Jazz Plaza dell’Avana e lì ho lavorato con César López, Enrique Plà, Giraldo Piloto e tanti altri giovani. Questa è stata una delle esperienze più incredibili della mia vita.

A livello sociale ti senti di confrontare la tua isola con l’Isla Grande?

Il fatto è che io sto vivendo negli Stati Uniti da circa 17 anni e a parte mia moglie e mio figlio, quasi tutti gli altri della mia famiglia vivono a Porto Rico e quando posso vado a trovarli. Posso dirti cosa mi ha impressionato di Cuba: il fatto di come la gente sia immersa nella difesa della cultura e del folklore e in particolare ho apprezzato il livello culturale della popolazione cubana che è molto alto.

Qual è l’espressione musicale-poetica portoricana più simile alla rumba cubana?

Io direi la plena, anche se musicalmente i due stili sono differenti però hanno più o meno gli stessi aspetti in fatto di essere musica popolare, musica di quartiere, di strada, che si esegue quasi sempre a cappella, una modalità molto impiegata per raccontare fatti, storielle, si improvvisa molto…

… elementi in comune anche con la decima…

… la decima è un po’ diversa perché è legata al mondo rurale, ma si improvvisa ugualmente, è vero.

Se tu fossi un negoziante di dischi, in quale settore metteresti il tuo jazz?

La musica che suono oggi rispetta molto la tradizione ma allo stesso tempo credo sia importante essere onesto, sono latinoamericano, sono portoricano e molte delle musiche che cerco di rappresentare hanno qualcosa a che fare con Portorico, con l’America latina. La mia musica direi che è una fusione di elementi jazz con musiche caraibiche e in generale latinoamericane.

Quindi non è ben classificabile, ma sembra distante anche dal latin jazz che si sente in giro, che ha comunque un sabor particolare oppure no?

Io non lo chiamerei  nemmeno latin jazz, perché questo è un termine  che si utilizzò per descrivere quel tipo specifico di musica che si fece quando Dizzy Gillespie e Chano Pozo iniziarono a suonare assieme. Ma a questo punto la musica è globale,  e il jazz oramai è tanto globale che molte delle frontiere insite in questo termine sono già scomparse. Si incontrano elementi del jazz nella musica latina come si possono trovare elementi della musica latinoamericana dentro il jazz. Ora tutto il jazz è globalizzato.

Concludiamo con la globalizzazione, che i teorici considerano una sorta di medicina per migliorare le condizioni del mondo e delle genti, ma sembra  con scarsissimi risultati. E dunque ti chiedo: negli USA i latinos (ma potremmo parlare anche di altre comunità, di minoranze) hanno le stesse opportunità degli altri?

Come in tutto si tende a generalizzare. Tuttavia posso dirti che nell’ambiente che frequento, cioè il mondo del jazz, rilevo una buona fratellanza tra noi latinos ma anche con musicisti di altre culture;  collaboriamo perché, come si dice, stiamo nella medesima barca. Oltretutto quella dei latinoamericani è una delle comunità più importanti negli Stati Uniti e lo sarà per molti anni. Quindi credo che sia necessario tenere conto di questa realtà importante e lavorare per nuovi equilibri.

Per conoscere e apprezzare in modo completo  la musica di Miguel Zenon vi consigliamo di visitare il suo sito web ottimamente organizzato con il preascolto delle sue opere.

Testo e foto di Gian Franco Grilli

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