Cuba: GONZALO RUBALCABA alla corte di AL DI MEOLA
Intervista. Quello che state per leggere è il racconto intero, in esclusiva per MiCaribe, in cui il pianista cubano Gonzalito Rubalcaba parla del nuovo progetto con il chitarrista Al Di Meola, della tradizione musicale de Los Rubalcaba, e ovviamente di Cuba. Non perdetevi il video con il danzón El Cadete Constitucional, strepitoso! Un estratto dell’intervista è stato pubblicato su JAM di settembre 2013. di Gian Franco Grilli
Cubano, 50 anni (ma ne dimostra meno di 40), pianista, otto nomination ai Grammy, circa trenta album (l’ultimo è uscito da poco con il titolo Volcán), Gonzalo Rubalcaba, assieme al gigantesco Chucho Valdés, è uno dei grandi innovatori del pianismo jazz di scuola afrocubana. La forza portentosa della sua mano sinistra, un formidabile senso ritmico e un superbo modo di fraseggiare lasciarono a bocca aperta due jazzisti come Dizzy Gillespie e Charlie Haden, di passaggio per L’Avana a metà degli Ottanta. Da quel momento si è aperto un cammino sfolgorante e inarrestabile per il musicista avanero, che a tutt’oggi è certamente l’artista cubano che si è mosso nei più diversi contesti musicali collaborando in modo trasversale con i grandi della musica internazionale. Ora ama dialogare con il virtuoso della chitarra di Al Di Meola, con il quale si esibito a Vicenza Jazz 2013, dove l’abbiamo intervistato al termine del concerto. E non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di ripercorrere un po’ della storia dei Rubalcaba, famiglia di importante tradizione musicale.
Gonzalito, oramai hai suonato con tutti i più importanti nomi della musica e in modo trasversale. Perché e quando sboccia la collaborazione con Al Di Meola?
Al Di Meola è sempre stato interessato ai musicisti cubani, conosce bene i nostri ritmi, dal guaguanco al bolero, e io ho sempre nutrito ammirazione per questo spettacolare chitarrista. La collaborazione è scattata con Pursuit of Radical Rhapsody, disco al quale hanno contribuito nomi celebri come Charlie Haden, Peter Erskine, Minu Cinelu e altri. Di Meola mi telefonò a casa e poiché avevo alcuni giorni liberi da impegni mi chiese di raggiungerlo nello studio di Miami dove stava registrando. Lì, su due piedi sono stato coinvolto nella realizzazione del Cd. Dopo l’uscita dell’album incominciammo a fare concerti con la sua band e io apparivo come ospite suonando non più di cinque brani. Poi, da poco più di un anno, abbiamo deciso di suonare in duo le musiche del disco.
Ai tempi del tuo Grupo Proyecto conoscevi già Di Meola? E come è nato esattamente il vostro primissimo incontro?
Anche se a Cuba, negli anni Settanta, era complicato stare aggiornati sulla scena musicale mondiale, io conoscevo già un po’ di cose di questo musicista virtuoso che aveva suonato con Return To Forever di Chick Corea o in Trio con Paco de Lucía, John McLaughlin. Ma è stato poi il percussionista Gumbi Ortiz, che ha suonato molto con Di Meola, a fargli conoscere la mia musica: gli portò alcuni dischi miei e così a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta Al Di Meola cominciò a conoscere la mia musica e la prima volta che ci siamo presentati fu all’inizio del 1990 in Germania.
Qualche accenno di ritmiche cubane che hai infilato durante lo spettacolo appena concluso mi ha fatto ricordare che, oltre al virtuosismo, esiste un altro punto in comune tra te e Al: i timbales. Li suonavi con l’orchestra di tuo padre Guillermo, mentre Di Meola, durante i suoi concerti negli anni Settanta, si divertiva con le bacchette a disegnare grappoli di doppi colpi e rim shot per abbellire il ritmo del gruppo in pezzi come Chasin The Voodoo o Señor Mouse. E’ vero?
Francamente non avevo mai pensato a questo denominatore comune, ma è tutto vero. Ho esperienze da batterista, sono stato il drummer del gruppo Da Capo, che creai quando stavo ancora studiando a metà del Settanta, era una formazione sperimentale a cavallo tra latin jazz, fusion, con referenze a Irakere, e partecipammo ai primissimi Festival del Jazz all’Avana. Ma suonavo anche i timbales, che a Cuba chiamiamo pailas.
Dopo questa dichiarazione è doveroso che ci racconti l’aneddoto circa quella bocciatura all’esame di ammissione perché eri antiritmico?
Ero un bambino, circa otto anni, suonavo già la batteria e la docente che mi sottopose alla prova per entrare al Conservatorio Manuel Saumell non mi promosse dicendo che ero negato per il ritmo. Mio padre s’infuriò, non poteva ammettere che un Rubalcaba venisse bocciato in musica e sul terreno del ritmo. Spiegò agli esaminatori che io potevo eseguire esercizi ritmici di una certa difficoltà, sincopati, con un tumbao complicato. Invitò la maestra a ripetere questi esercizi dopo della mia nuova prova. Tutto poi andò liscio.
Qual è il tuo contributo al duo ?
Sostenere la musica di Al di Meola e aprire dialoghi: quasi tutte le composizioni in scaletta sono sue. Il progetto in duo è un po’ complicato perché bisogna condensare, con piano e chitarra, la massa di informazioni musicali dei vari strumenti impiegati nel Cd Pursuit of Radical Rhapsody, e allo stesso forgiare un nuovo linguaggio mescolando jazz a stili e accenti ispano-americani ma senza rinunciare alle nostre due specificità. Nel concerto si spazia molto, dal Double Concerto di Astor Piazzola ai Beatles; in mezzo c’è un momento in cui Al suona da solo e un altro analogo tutto per me dove eseguo mie composizioni e classici di musica cubana…
… Come il fascinoso danzón, con sfumature jazz, che hai appena eseguito con una concentrazione e un’intensità davvero uniche. Vuoi ricordarci il titolo del brano tanto applaudito dal pubblico di Vicenza Jazz?
E’ una mia versione de El Cadete Constitucional, danzón antologico a cui sono molto legato in quanto è una composizione di mio nonno Jacobo González Rubalcaba, che era un famoso danzonero, trombonista, compositore, direttore della Orquesta Rubalcaba, capostipite di una tradizione musicale che si è tramandata tra le generazioni, da mio padre Guillermo, ai miei fratelli e fino al sottoscritto.
Guarda il video:
Un dubbio: perché porti il secondo cognome del nonno e del babbo?
Bellissima domanda, e che pochissimi mi hanno mai fatto: è un’eredità che mi sono trovata perché nessuno, a Pinar del Rio, terra di origine dei miei, conoscevano mio nonno e i miei parenti per il primo cognome ma per quello dei Rubalcaba e così c’è stato questo cambio.
Poco fa hai citato i Beatles: che ne pensi dell’omaggio di Al Di Meola al quartetto di Liverpool?
All Your Life è a mio parere un bel tributo ai The Fab Four e lo considero un lavoro all’altezza dei migliori album di Al.
Veniamo ai tuoi progetti. Che novità in arrivo?
E’ appena uscito Volcán, un disco inciso in gennaio in quartetto (foto) con Horacio “El Negro” Hernandez alla batteria, Giovanni Hidalgo alle percussioni e il contrabbassista Armando Gola. L’album presenta quattro brani miei, due brasiliani, cioè Corsário di João Bosco e Ano Novo di Chico Buarque, che scrisse nel 1967 e mi piace per come è trattata la melodia e per le parole. Così ho voluto registrarne una versione strumentale con un mio arrangiamento per quartetto. Infine nel cd c’è un omaggio a Dizzy Gillespie con una mia, un po’ ribelle, versione di Salt Peanuts.
E’ la prima reunion con Horacio “El Negro”? Con un duo percussionistico così vertiginoso immagino che il disco sia un mix pazzesco di ritmi afrocaraibici e di piano jazz…
A parte un laboratorio musicale nei pressi di Barcellona di circa sei anni fa, sì, questa è la prima volta che mi ritrovo con Horacio per una produzione discografica dal lontano 1990, quando lui cessò la collaborazione con il mio Grupo Proyecto. Eravamo dei ventenni quando tu ci incontrasti la prima volta a Firenze, dopo la metà degli anni Ottanta. Beh, l’aggettivo vertiginoso calza a pennello per questo formidabile binomio ritmico, poiché non mi risulta che nel mondo sia mai esistito qualcosa di tale livello tecnico ed espressivo: in due suonano come dieci percussionisti. Sono molto entusiasta di aver lavorato con questi artisti e del risultato di questo progetto.
Se ritorno con la mente agli anni Ottanta mi viene da chiederti qualcosa su look attuale molto diverso da quello di allora. Infatti ciò che osservo è l’immancabile fazzoletto rosso che ti accompagna sempre sul piano: ha un significato particolare, per caso è un omaggio alla Santeria?
Beh, a volte ne utilizzo uno giallo, uno bianco o anche nero, quindi alterno con questi colori e comunque in questo c’è una valore spirituale e mi dà energia. Per noi i cubani che siamo nati con legami con la cultura africana, la Santeria, lo spiritismo i colori hanno una certa energia e quindi abbiamo il rosso per Changò, il giallo per Ochún, il bianco per Obatalà e così via. Ma oramai questo è una sorta di amuleto.
Parliamo della diaspora, dell’anticastrismo eccetera. Dopo alcuni episodi spiacevoli che hai subito in passato, come va il tuo rapporto con la gente di Miami alla luce anche di un piccolo disgelo tra Cuba e Usa?
Direi che non è solamente un problema con me, ma è un problema culturale di come si muove l’arte in questa area. Dal mio punto di vista le cose più o meno sono le stesse nelle relazioni tra i due paesi. Ho suonato a Miami 4 mesi fa in una rassegna di jazz che si sta tenendo da alcuni anni a Hollywood, una città dello Stato della Florida. Ed è curioso perché nell’area di Miami e tutto il sud della Florida vivono molti musicisti; forse perché cadauno vorrebbe avere una maggiore attività musicale, ma mi riferisco a questo linguaggio musicale. Probabilmente ci sono altre manifestazioni di musica popolare, ballabile che forse hanno un poco più di spazio rispetto al jazz latino. Sarebbe auspicabile una maggiore crescita di musiche di qualità nel sud della Florida.
I tuoi figli sono sensibili e disponibili a continuare la lunga tradizione musicale dei Rubalcaba?
Bene, ho due figli maschi e una femmina, che ha diciassette anni e sta frequentando High School di danza. Il primogenito Joao si dedica alla produzione musicale. Il secondo ha interessi per le arti visive, scrivere sceneggiature per il cinema, e comunque tutti e tre si muovono dentro l’arte, anche se non specificamente con la musica ma… Poi c’è mia moglie, che è la miglior mamma del mondo, con studi di chitarra classica che non ha poi sviluppato professionalmente. Lei viene da un’importante famiglia di artisti plastici e lei è la mia più importante consigliera nella vita.
Sono più di vent’anni che vivi all’estero, prima nella Repubblica Dominicana e poi da diverso tempo risiedi negli Usa: torni spesso all’Avana? E tuo padre Guillermo Gonzalez Camejo “Rubalcaba” , importante musicista, è ancora in attività e puoi venire a trovarti in Florida?
L’ultima volta che sono tornato a Cuba è stato un anno e mezzo fa. Mio padre è un ottantenne ancora in forma, ha suonato con tutti i grandi, con l’Orquesta di Enrique Jorrin, l’ideatore del cha cha chá, è un polistrumentista, è stato direttore della Charanga Típica Cubana de Concierto Rubalcaba. Quando poi mio padre lasciò l’orchestra Jorrín e formò una band di famiglia, El Combo Los Rubalcaba, io cominciai con lui a suonare musica tradizionale partecipando a spettacoli televisivi e nei cabaret. Lì ho avuto la possibilità di sviluppare il concetto dell’improvvisazione jazz che poi ho coltivato anche altrove. Negli ultimi dieci anni mio padre è stato in lunghe tournée in Europa,in Australia, in Nuova Zelanda anche con i Buena Vista Social Club.
Ma può venire a trovarti in Florida?
Nonostante le maggiori possibilità di viaggiare liberamente introdotte recentemente dal governo cubano un po’ di difficoltà esistono ancora, perché serve il visto per uscire e comunque non viene ancora dato a tutti con grande facilità. E’ un processo nuovo, importante, e come in tutte le cose nuove all’inizio c’è lentezza.
Gian Franco Grilli
Foto: di Gian Franco Grilli, tranne Volcan (foto quartetto) e copertina cd Charanga Rubalcaba.
*** Si ringrazia JAM- Viaggio nella Musica per la collaborazione.