JAZZ, BJF 2024: 21 ottobre-17 novembre, tra Bologna, Ferrara e Forlì

Pat Metheny sarà la principale star del Bologna Jazz Festival 2024, che annovera in questa edizione nei grandi teatri cittadini altri protagonisti di massimo rilievo come Mulatu Astatke, Cécile McLorin Salvant e McCoy Legends. Ma nei jazz club ci sarà una programmazione che, a nostro avviso, restituirà un’immagine più significativa, variegata e completa dei del jazz multicolore oggi.

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LUIS PERDOMO: un afrovenezuelano a New York

12. novembre 2013 – 23:44No Comment
LUIS PERDOMO: un afrovenezuelano a New York

Quarantadue anni, pianista, compositore, ha spiccato il volo da Caracas verso la Grande Mela  venti anni fa. Considerato un jazzista di vaglia, stimatissimo dai colleghi, Luis Perdomo nell’intervista (realizzata al Torrione S.Giovanni di Ferrara) ripercorre la sua lunga carriera professionale iniziata a soli dodici anni suonando gaita, folklore e ritmi latini. E ci regala un ritratto del jazz in Venezuela. (+video)

**Intervista di Gian Franco Grilli

Chi è Luis Perdomo?

Sono nato nel 1971 a Caracas e cresciuto in un ambiente dove si ascoltava moltissima musica, infatti nella mia famiglia, oltre a mio padre, grande musicofilo, ho degli zii che sono musicisti professionisti. Così all’età di dieci anni iniziai a studiare privatamente il pianoforte con Gerry Weil, un professore austriaco che vive da molti anni a Caracas, grandissimo maestro e forse il migliore che esista in Venezuela per la musica jazz. E’ stato fondamentale nella mia formazione, mi ha aiutato ad aprirmi a tutte le musiche, ad allargare la mente, posso dire che Weil è colui che mi ha influenzato più di ogni altro, mi ha trasmesso il dono di saper ascoltare di tutto, da Louis Armstrong a Cecil Taylor.

Sei cresciuto a suon di jazz?

Cominciai soprattutto con il jazz, forse era un sessanta per cento dell’insieme del programma, ma studiavo anche musica classica, contemporanea (da Stockhausen  a Bach), teoria, armonia, composizione e a dodici anni ero già musicista professionista suonando musica latina, salsa, musica tradizionale venezuelana, in particolare la gaita, uno stile che si suona soprattutto in dicembre.

La tradizione afrovenezuelana ha influito nel tuo stile?

Sì, e soprattutto ritmicamente, perché nella parte centrale e della costa  del Venezuela c’è molta influenza negra, ci sono molti tamburi e tutto ciò ha sempre attirato la mia attenzione.  Abbiamo molti ritmi come il Culo e’ Puja, Cumaco  (che sono anche nomi di tamburo), Golpe de San Millán, Gaita de Tambora, Tamboras de Fulía, e adesso non me ne vengono in mente altri ma ce ne sono ancora.  Di tre elementi della musica, cioè melodia, armonia e ritmo, io ho sempre preferito il ritmo, perché lo ritengo il più importante e a volte ho avuto discussioni su questo tema con altri musicisti.

Ti consideri un pianista di jazz o di latin jazz? E nella tua attività che percentuale occupa il latin rispetto al jazz?

Mi considero un pianista jazz, però la musica latina è nel mio dna e quindi è impossibile dimenticarla, mi affascina, ho trascorso diversi anni ascoltando soprattutto salsa degli anni Settanta, artisti come Roberto Roena, Fania All Stars, Puerto Rico All Stars, poi sono cresciuto suonando con Ray Barretto, che per me questo era la cuspide, il vertice, il sogno della mia vita. Con lui suonai sia nell’orchestra di jazz che in quella di salsa, e una volta suonammo alla Carnegie Hall con entrambi i formati. Quindi anche se ora non suono spessissimo latin ne rimango innamorato e  quando sto suonando in un concerto di jazz quel lato ritmico viene sempre fuori.

Nella capitale mondiale del jazz, dove tra l’altro vivi, quanto latin c’è?

Mi muovo principalmente dentro la cornice del jazz, ma molti mi contattano per suonare latin e ne sono felice. Ultimamente ho suonato molto con Andy Gonzalez; ogni secondo martedì del mese suoniamo al Fat Cat Jazz Club e si tratta di una sorta di workshop di latin, e mi piace perché mi consente di tornare alle mie radici. I locali newyorchesi dove ascoltarne di alto livello sono diversi e lì puoi vedere artisti fantastici, uno di questi è il gruppo del cubano Pedrito Martinez.


Lavori spesso con cubani? Se mai stato a Cuba? E in generale che ne pensi della musica afrocubana?

Sì, ad esempio con Yosvany Terry, Dafnis Prieto, Ignacio Berroa e tanti altri, ma lavoro anche con portoricani, colombiani eccetera. A Cuba sono stato nel 2000 al festival del Jazz Plaza con il gruppo Timbalaye di Ralph Irizarry, un percussionista con cui ho lavorato molto tempo.  Io penso che i musicisti cubani abbiano raggiunto un livello tecnico molto elevato e alcuni di loro come Gonzalo Rubalcaba e Chucho Valdés sono stati punti di riferimento a cui ispirarmi.

Beh, hai citato due apostoli del pianismo jazz cubano,  ma si può parlare di una scuola analoga in Venezuela?

Non credo che ci sia una scuola jazzistica venezuelana ben definita. Nel mio caso, ciò che mi identifica come venezuelano è il ritmo, mentre il linguaggio è quello afroamericano, quello del jazz universale.

Ci regali un piccolo ritratto del jazz in Venezuela con i nomi più importanti?

Dal 1993 vivo a New York, tuttavia posso dirti che ultimamente c’è stato un grande sviluppo, mi vengono in mente alcuni figli di musicisti con i quali io suonavo, come la bravissima trombettista Linda Briceño e Gerardo “Chipi” Chacón, altro talentuoso trombettista, entrambi giovanissimi, attorno ai venticinque anni e che credo siano frutto del “Sistema” Educativo Abreu  per la musica classica, ma sono jazzisti. Ve sono tanti altri che ora non ricordo e molti di questi stanno trasferendosi negli Stati Uniti.

A proposito, cosa pensi del “sistema” appena citato messo a punto 32 anni fa in Venezuela da Josè Antonio Abreu?

Quei nomi che ti ho nominato poc’anzi vengono da quel “sistema”, che ci ha regalato anche  un musicista di fama mondiale come Gustavo Dudamel. Ti confesso che quando vivevo a Caracas non avevo mai sentito parlare del progetto “Abreu” che invece imparai a conoscere vivendo a New York. Un lavoro che si sviluppò negli anni Settanta soprattutto nella sfera del mondo classico, ma ora si sta dedicando anche al jazz. Questa istituzione musicale ha operato negli ambienti marginali permettendo a tutti di trovare una propria strada nella vita, perchè la musica permette di crescere spiritualmente e mentalmente.

Torni spesso in Venezuela?

L’obiettivo è ritornarci ogni anno per le festività approfittando di molti compleanni di miei famigliari in questo periodo tra dicembre e gennaio, e poi per fare un po’ di vacanze.

. Un mio amico, il batterista Andrès Briceño (il padre di Linda) ha incominciato con la Big Band Simon Bolivar e lì sono nati molti musicisti

Como leader hai inciso sei dischi: c’è qualcosa di afrolatino?

Sì, ad esempio “The Infancia Project”, che è anche un modo per ritornare alle mie radici, al mio Paese, alla mia infanzia, quando stavo crescendo assieme ad altri musicisti. In questo album suona il bassista porto ricano Andy Gonzalez e il batterista cubano Ignacio Berroa. Non è musica latina, ma è camuffata dentro il linguaggio jazz.

Quali sono i tuoi pianisti o jazzisti  preferiti nel panoroma attuale?

Tra i pianisti che mi piacciono di più  ci sono Gerald Clayton, grande, mi affascina il suono del suo piano, poi l’israeliano Shai Maestro, il contrabbassista Joe Sanders.

Parliamo dei pianisti venezuelani più importanti?

Ed Simon, uno dei miei preferiti; Pedrito Lopez che ho ascoltato moltissimo; Otmaro Ruiz e Silvano Monasterio. Tutti vivono negli Usa tranne Pedrito che non ha lasciato il paese. Poi abbiamo il giovane Benito Gonzales che ora sta suonando con Kenny Garrett. Insomma, dal Venezuela arrivano molti pianisti.

Vuoi ricordarci i tuoi progetti principali?

Ultimamente mi dedico soprattutto al piano solo; l’anno prossimo farò qualcosa con il mio quartetto con Mark Shim (sax), Boris Koslov (contrabbasso),  Ignacio Berroa (drums); poi in trio con Hans Glawischnig (contrabbasso) e Johnathan Blake (drums). Inoltre continuo a suonare con Miguel Zenon.

Guaco cosa ti ricorda?

Un ottimo gruppo, alcuni dei suoi componenti sono miei amici, iniziarono come gruppo di gaita (un genere folklorico), negli anni Sessanta e Settanta. Quello stile si suona soltanto in ottobre, novembre e dicembre e così Guaco incominciò a suonare una miscela di musiche con ritmi cubani, timba, eccetera, un sound più caraibico, internazionale.

Quanti jazz club  ci sono a Caracas?

Io suonavo in un posto che tuttavia esiste e si chiama Juan Sebastian Bar dove hanno suonato i migliori musicisti internazionali. Pensa che è aperto da oltre 40 anni e ci lavoravo dal lunedì al sabato, e molte volte c’erano tre gruppi che suonavano: il primo alle 12, l’altro alle 16 e il terzo, con il quale suonavo io,  cominciava alle ore 21. Spesso succedeva che dovevo sostituire altri, così lavoravo a volte da mezzogiorno sino alle tre di notte. Negli anni Ottanta, Caracas aveva numerosi club di jazz e latin jazz, uno si chiamava la Menta, un altro era il Fedora Jazz e…. Quando ritorno dai miei per le vacanze vado a vedere concerti e quindi ci scappa sempre qualche jamsession. E’ sempre fiesta.

Ma ti piace ballare?

Sì, quando capita vado a ballare. In Venezuela si festeggia con la salsa o le musiche latine, cioè son, guaracha, cumbia, merengue.

Testo e foto: G.F. Grilli

** Intervista e video realizzati il 2 novembre 2013 al Torrione San Giovanni di Ferrara in occasione del concerto del Dave Douglas Quintet.

Si ringraziano per la collaborazione: Eleonora Sole Travagli (ufficio stampa Jazz Club Ferrara) e Francesco Bettini (direttore artistico Bologna Jazz Festival)

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