KEITH JARRETT: NO END, spirito nuovo per il 2014
Il nuovissimo doppio Cd di Keith Jarrett, No End (ECM – distr. Ducale) è arrivato appena in tempo per risollevare lo spirito di questo grigio 2013 che sta per chiudersi. E’ musica che comunica una grande energia e un po’ spiazza l’ascoltatore. Sì, perché siamo di fronte a un Jarrett nuovo, non solo rispetto a quello dei numerosi dischi usciti quest’anno ma anche a quello conosciuto negli ultimi 25 anni.
No End, debbo dirlo, mi ha fatto rivalutare e riapprezzare il pianista che negli ultimi anni mi aveva un po’ stancato, e non solo per alcuni atteggiamenti sopra le righe. Diciamolo subito: No End è proprio un bel lavoro (non un capolavoro) che consente di scoprire lati meno noti dell’artista, anche se va detto che in passato qualche esempio di questo tipo ce l’aveva già proposto. Qui emergono i suoi amori musicali primordiali: la batteria, le percussioni, il basso, il modo di intrecciare ritmi, e la chitarra elettrica. Che è la protagonista assoluta, assieme alla sezione ritmica, nelle venti tracce (distinguibili soltanto da numeri romani) registrate in studio, e da solo. No End non è un album di piano solo; gli 88 tasti bianchi e neri per una volta tanto non primeggiano. Il protagonista numero 1 del progetto è la versatilità del musicista della Pennsylvania che di volta in volta imbraccia chitarra, basso, drums, tablas, percussioni varie, piano e voce. Curioso, no? Ma ancora più curioso (e poco spiegabile) è il fatto di aver tenuto nascosto in un cassetto queste registrazioni del 1986. E se lo rimprovera anche Keith quando si chiede nel booklet “come ho fatto a lasciarlo in un cassetto per tanni anni?”. Ce lo chiediamo anche noi di questa grave dimenticanza. Perché nonostante il tempo trascorso donano queste incisioni e sovraincisioni donano all’ascoltatore un’energia incredibile. Musiche in bilico tra jazz rock, world jazz, latin alla Santana, fusion, un sound davvero contagioso, e in alcuni punti ipnotico. Tracce che – a parte qualche spezzettamento o brani sfumati troppo duramente – si infilano una dentro l’altra, idee che sanno procurare estasi. Idee ritmico-melodiche che riascoltandole hanno un non so che di terapeutico. “La batteria e le percussioni sono sempre con me … sono sempre stato attratto da strumenti che si suonano direttamente senza meccanismi di mezzo” confessa il pianista a cui “è sempre piaciuta la chitarra elettrica”. E lo si sente in No End dove è assolutamente dominante, libera di improvvisare. I cultori di ritmi poi sapranno invece apprezzare il gusto dell’artista nel combinare pattern afro, clave, accenti e modalità africaneggianti, tinte caraibiche, insomma un mix in grado di creare atmosfere tribali, spirituali, da happening anni Settanta. Avrete capito che non è un album di jazz, è un insieme di musiche diverse, musica totale come si diceva qualche anno fa o sonorità senza categorie. Quel che spicca nettamente invece è un artista in uno stato di grazia pura. Completamente rilassato e positivo. Una dimensione nuova, mistica che crediamo in questo momento e nel prossimo futuro potrebbe giovare al grande pianista jazz. Intanto godiamoci questo progetto, piacevolissimo e rigenerante per il nostro spirito.
(G. F. Grilli)