JAZZ, BJF 2024: 21 ottobre-17 novembre, tra Bologna, Ferrara e Forlì

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Cuba/Alfredo Rodríguez, “The Invasion Parade” pensando alla conga

14. aprile 2014 – 20:22No Comment
Cuba/Alfredo Rodríguez, “The Invasion Parade” pensando alla conga

Il giovane talentuoso pianista cubano Alfredo Rodríguez presenta “The Invasion Parade“, il suo ultimo album – pubblicato per l’etichetta Mack Avenue (distribuzione Egea) – con l’auspicio di bissare il successo ottenuto con il debutto “Sounds of Space” (MAC1064). Leggi la recensione.

Nell’ambito del jazz, ma soprattutto del latin e della musica cubana, quando si parla di Alfredo Rodriguez non sempre è facile e immediato (anche per gli addetti ai lavori) capire di chi si sta parlando. E i dubbi aumentano se si allarga il campo rispetto al jazz. Ad esempio, a chi scrive balzano alla mente subito il famoso pianista jazz scomparso nell’ottobre 2005 a Parigi all’età di 69 anni ma anche un cantante di bolero conosciuto qualche anno fa indagando la musica di Cuba. Dopo un paio di verifiche  però ci si rende conto che quelli appena citati non hanno legami con il pianista Rodríguez nato a Cuba nel 1985 e residente negli Stati Uniti dal 2009. Fatta questa precisazione, lasciamo la parola a questa nuova star del pianismo jazz cubano, appunto il giovanissimo Alfredo Rodríguez, per presentare il suo ultimo cd dal titolo “The Invasion Parade”:«Quando si vive nel proprio paese, si è immersi in quella realtà e non si è necessariamente consapevoli di tutti i diversi elementi che la rendono quello che è. Ho respirato musica cubana. Essere fuori da quella realtà mi dà una prospettiva diversa. Scrivere e suonare questa musica è stato come scoprire chi sono, ancora una volta». Questo nuovo lavoro realizzato dall’etichetta Mack Avenue (distr. Egea) segue il suo acclamato debutto “Sounds of Space” (MAC1064). Co-prodotto da Quincy Jones (mentore e scopritore del pianista) l’album vede la partecipazione di una band straordinaria che comprende, tra gli altri, pezzi da novanta come la contrabassista e cantante Esperanza Spalding, il percussionista, rumbero e cantante Pedrito Martínez e il batterista Henry Cole. Si tratta di una bellissima raccolta di nove brani con composizioni originali di Rodríguez e standard della musica popolare cubana interpretati in chiave jazz come “Guantanamera”, “Veinte Años” e “Quizás, Quizás, Quizás”. La title-track “The Invasion Parade” si riferisce alla sfilata del carnevale più importante dell’Isla Grande conosciuta come  conga santiaguera, che si tiene ogni anno a Santiago de Cuba per commemorare l’invasione dell’esercito di liberazione che ha segnato la fine della guerra d’indipendenza di Cuba (1898) dal colonialismo, ovvero dalla Spagna che ha governato l’isola per ben 387 anni. In questa parata non partecipano solo le comparsas (gruppi di ballo e percussioni), ma anche tutti i santiagueri che si uniscono alla festa suonando strumenti di fortuna e cantando brani improvvisati. Questa atmosfera di festa, partecipazione e contaminazione risuona nei brani di questo album in cui Alfredo Rodríguez esplora diversi stili e ritmi della musica popolare cubana: guajira, son, bolero, conga, danzón, timba, toques batà. Un viaggio alla riscoperta delle proprie radici attraverso cui Rodríguez delinea il proprio personale contributo alla musica cubana.

Nato a L’Avana, figlio di un popolare cantante e presentatore televisivo, Rodriguez si è diplomato al Conservatorio Amadeo Roldán, e poi ha completato gli studi all’Instituto Superior de Arte. Educazione musicale classica, Alfredo ha appreso i segreti della musica cubana suonando nell’orchestra del padre fin da quando aveva 14 anni. Presto si è avvicinato al jazz, folgorato da The Köln Concert di Keith Jarrett, e nel 2006 è stato scelto per suonare al Festival Jazz di Montreux. Lì ha incontrato Quincy Jones che è rimasto colpito dal talento di questo ragazzo e lo ha invitato ad unirsi a lui. Nel 2009, mentre era in Messico per suonare con il padre, Rodríguez ha fatto una scelta difficile prendendo un volo per Laredo, Texas, dove è stato arrestato e trattenuto dalla polizia di frontiera. «Non avevo nulla: una valigia con un maglione, un paio di jeans e la mia musica – racconta il pianista – e quando mi hanno intervistato ho detto loro la verità: volevo rimanere lì per scrivere e suonare, lavorare con Quincy Jones e iniziare la mia carriera». E da quel momento in poi ha cominciato a calcare scene prestigiose come il Playboy Jazz Festival all’Hollywood Bowl, il Gilmore Keyboard Festival, o jazz festival in tutto il mondo da Detroit a Newport, da San Francisco all’Umbria a Vienna e templi della musica afroamericana come il Ronnie Scott, Sculler, Yoshi, Jazz Standard, The Blue Note e Jazz Alley. (G.F.Grilli)

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