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Cile: “Mio nonno Allende”

7. luglio 2015 – 18:27No Comment
Cile: “Mio nonno Allende”

«Mio nonno Allende», un documentario svela l’uomo dietro al mito della sinistra. Dopo decenni di apologia politica, un documentario girato e scritto dalla nipote del leader socialista, Marcia Tambutti Allende, svela il lato intimo di colui che, prima di tutto, fu un essere umano. Applausi e polemiche per “Allende, mi abuelo Allende”, la storia di un eredità genetica che accomuna anche i discendenti di Pinochet (Filippo Fiorini, Pangea News.net, 1/07/2015)

Sono certamente più di venti, ma non esiste un dato certo in merito al numero di film che raccontano il golpe in Cile del 1973. Nonostante i molti precedenti, però, il cortometraggio «Allende, mio nonno Allende» ha appena vinto il premio come miglior documentario a Cannes, conquistando la giuria attraverso il racconto del lato più umano del presidente socialista che fu spodestato dal generale Augusto Pinochet. Per farlo, Marcia Tambutti Allende, regista e nipote del protagonista, ha cercato soprattutto tra i membri della sua famiglia, trovando in loro una straordinaria resistenza a parlare, ma anche episodi di vita vissuta rimasti segreti per anni.

«Oggi ho visto una cosa sensazionale: una foto del nonno in spiaggia», afferma in una scena. «E perché sarebbe così sensazionale?», gli risponde Hortensia Bussi, nonna e vedova del presidente. «Perché non l’avevo mai visto in costume». Se tutti i cileni conoscono infatti i connotati della statua di Plaza Constitucion a Santiago, se molti ripetono la frase con cui Allende si congedò dal Paese prima di suicidarsi nel palazzo presidenziale assediato («Non temete, presto torneranno ad aprirsi i grandi viali per cui cammina l’uomo libero»), pochi hanno avuto accesso alla sua sfera più intima.

Mentre i militari distruggevano foto, lettere e registrazioni originali, la sinistra mondiale creava il mito sulla base della figura pubblica: mezzo busto in giacca e cravatta, braccio alzato ad arringare la folla e quintali di libri sull’eredità ideologica. Sotto a tutto questo, restavano gli interrogativi aperti su una vita straordinaria, divisa tra eroismo e banalità: Come vivevano in casa la sua relazione con la segretaria e amante, Miria Conteras? «Adorava flirtare», dice la moglie, di quella Payita che per anni è stata usata dagli avversari per screditare l’integrità morale del leader socialista.

Che fine ha fatto l’atto d’indipendenza del Cile dalla Spagna? Datato 1818, fu probabilmente sequestrato alla Contreras il giorno del golpe e distrutto dallo stesso soldato che l’aveva trovato, in un eccesso di zelo iconoclasta di tutte le libertà che, quella che fino ad allora era stata una delle democrazie più longeve al mondo, aveva conquistato nei secoli. Per fare luce tra i ricordi, ci voleva per forza un Allende. Isabel, per esempio, omonima di sua seconda cugina la scrittrice, parlamentare e segretario del Partito Socialista come fu suo padre, non ne ha mai voluto parlare. Nel documentario, la si vede camminare cocciuta in giardino, mentre la figlia Marcia la insegue incalzando con le domande.

Secondo Mirta, un’altra nipote, «tutto questo tabù è dovuto al loro dolore». La fine del sogno rivoluzionario, la morte del capofamiglia, l’esilio, la lotta armata degli Anni Settanta, le persecuzioni con cui il regime uccise più di 3 mila persone e la passione delle masse, fanno parte di un trauma che alcuni degli Allende hanno risolto in modo radicale. Beatriz si è suicidata a Cuba nel ’77, continuando una tradizione di famiglia che dopo di lei avrebbero raccolto anche altri discendenti, come per esempio suo nipote. Suo figlio Alejandro, che ricorda il nonno nei manifesti elettorali appesi in casa e nei discorsi registrati che gli facevano sentire da bimbo invece delle ninna nanne, vive in Nuova Zelanda e non ne vuole sapere granché degli affari legati al suo sangue.

Ma il peso del cognome non riguarda solo questo ramo della genealogia presidenziale cilena. Anche i Pinochet sono una dinastia cresciuta all’ombra di una figura ingombrante. La maggior parte di loro evita le apparizioni pubbliche, nonostante esista tra i connazionali una solida minoranza di nostalgici che rimpiange il passato. L’unico che prende sistematicamente posizione è Augusto Pinochet Molina. Si chiamava Cristian, ma l’hanno ribattezzato come il dittatore quando aveva cinque anni. Una volta, disse che il suo maggior rimpianto era che «il nonno non avesse avuto più tempo da spendere con lui». Lo intervistavano perché era appena stato cacciato dall’Esercito, per aver pronunciato un’apologia del famigerato progenitore al suo funerale, mentre vestiva l’uniforme delle forze armate e in presenza della già allora presidente Michelle Bachelet. Attualmente, ha creato il movimento d’estrema destra «Por Mi Patria», parla di nazionalismo, ordine e disciplina, ma un mercoledì qualunque di qualche settimana fa, è stato arrestato con un grammo e mezzo di cocaina in tasca.

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