CUBA/USA: 90 minuti di jazz per il dialogo
90 minuti di conversazione musicale per celebrare la cancellazione delle 90 miglia che hanno diviso per oltre cinquant’anni i popoli di Cuba e degli USA avvenuta con l’annuncio del 17 dicembre 2014 di Barack Obama di ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Questo in sintesi uno dei vari messaggi simbolici di Arturo O’Farrill & The Afro Latin Jazz Orchestra con la pubblicazione dell’eccellente album doppio “Cuba –The Conversation Continues” (Motéma- distr. Egea)…
… registrato , tra l’altro, negli Abdala Studios dell’Avana proprio alcuni giorni dopo la comunicazione del disgelo Usa-Cuba. Altro messaggio-omaggio di questo cd è la continuazione e la naturale attualizzazione del dialogo inaugurato negli anni Quaranta tra il trombettista statunitense John Birks “Dizzy“ Gillespie e il conguero cubano Luciano “Chano” Pozo Gonzales, incontro da cui nacque il cubop, l’afrocuban jazz oggi chiamato latin. Infatti “Cuba -The Conversation Continues” rappresenta una straordinaria opera che cerca di fare una sintesi di tutti i linguaggi musicali afroamericani, cubani e sudamericani in generale. Tant’è che l’incredibile e geniale progetto del pianista e compositore Arturo O’Farrill ha già avuto riscontri importantissimi: il più prestigioso riconoscimento finora è il Grammy Award come Miglior Composizione Strumentale per The Afro Latin Jazz Suite, l’eccellente composizione in quattro movimenti inserita nel primo dei due cd commissionata dall’Apollo Theater per celebrare il 65° anniversario della storica “The Afro-Cuban Jazz Suite” scritta dal padre di Arturo, il leggendario compositore, pianista e trombettista cubano Chico O’Farrill.
A coloro che non sanno nulla di Chico O’Farrill, oltre a invitarli a sfogliarsi la documentazione presente nella rete, ricordiamo qui brevemente che è stato uno dei grandi maestri dell’epoca d’oro della musica afrocubana e del jazz che si suonava nella capitale cubana negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso. O’Farrill si muoveva proprio in quel contesto musicale dove si incrociavano jazz e ritmi afrocubani nei club e cabaret avaneri che ospitavano jazzisti statunitensi, da Nat King Cole a Sarah Vaughan, da Buddy Rich a Kenny Drew, da Woody Herman a Philly Joe Jones. Insomma gli storici raccontano che i musicisti del Sans Souci, Tropicana, Las Vegas o Montmartre, per citarne alcuni, ogni sera dopo gli spettacoli (o la domenica pomeriggio) si davano appuntamento in uno dei suddetti club a porte chiuse e tiravano fino al mattino imbastendo indiavolate descargas, le jam session cubane a cui partecipavano anche strumentisti o cantanti nordamericani oltre a quelli più noti già citati, che erano di passaggio o scritturati nella capitale cubana. Un gran fermento si respirava nel Vedado, zona dei grandi alberghi in cui erano incorporati i club di spettacolo più importanti, ma nonostante queste possibilità vi erano musicisti cubani a cui l’Isla stava stretta e così emigravano nella Grande Mela, la capitale del jazz, per tentare migliore fortuna. E fu lì dove iniziò la miracolosa collaborazione tra Chano Pozo e Dizzy Gillespie da cui scaturirono pagine immortali del jazz come Manteca, Tin Tin Deo, Guachi Guaro, ecc… Quella collaborazione non fu solo un incontro tra due musicisti di diverse esperienze musicali, ma rappresentò anche un formidabile interscambio tra due culture che cambiò il corso della storia del jazz nella seconda metà degli anni Quaranta. Il 3 dicembre 1948 la magica conversazione musicale che stava facendo furore si arrestò con la scomparsa di Chano, ma di lì a poco altri musicisti presero in mano quel manifesto e gli iniettarono nuova linfa. Tra questi, oltre a Machito, Mario Bauzà, Candido Camero c’era certamente Chico O’Farrill che si rivelò un grande arrangiatore e un caposcuola indiscusso nel dare carattere universale al jazz latino. Dopo questa doverosa parentesi su Chico torniamo al figlio Arturo – nato in Messico da madre messicana e padre cubano e cresciuto a New York – che con questo meraviglioso album dimostra ancora una volta (il suo precedente lavoro “The Offense of the Drum” , Motema, ha vinto nel 2015 il Grammy come Miglior Album di Latin Jazz) di possedere inusitate abilità musicali. In 90 minuti è riuscito a saldare insieme in chiave moderna le pagine importanti della storia del jazz dai tempi di Storyville di New Orleans in avanti con Duke Ellington, Stan Kenton, Woody Herman, Gillespie (naturalmente!), il post bop, mainstream, free, le tradizioni ritmiche più autentiche di origine africana e le modalità di provenienza ispaniche sopravvissute a Cuba, il giro armonico del montuno, e altro ancora. Curiosissima, ad esempio, la velata citazione con le corde del basso di Oye Como Va di Tito Puente. In mezzo a questa enorme alchimia di stili, grammatiche e pronunce Arturo ha trovato spazio anche per audaci accostamenti e rinnovamenti nel linguaggio latin, mescolando free e corneta china santiaguera, mozambique e hard bop, post bop e rumba, blues e guaguancò, e ancora, changüi, bolero, soca, toques batà della tradizione Yoruba, pattern e refrain della conga callejera (di strada). E chi ha dimestichezza con le specificità ritmiche cubane troverà interessante ascoltare e scoprire i diversi concetti di clave (son, rumba, afro, abakuà ecc.) sapientemente incastrati in composizioni dalla complessa struttura musicale e con arrangiamenti davvero sopraffini. L’opera nel suo insieme, infine, rappresenta anche un sentito omaggio agli antichi contatti marittimi tra New Orleans e L’Avana, a pionieri della contaminazione musicale tra Usa e America latina come il pianista Louis Moreau Gottschalk, a condottieri per la conquista della libertà come l’eroe nazionale cubano José Martì, il poeta cui è dedicato il brano di chiusura dell’album. Ma è lo stesso Martì che apre, si fa per dire, il booklet con questo illuminante pensiero: “Fare è la maniera migliore di dire“. Ci rendiamo conto di averla fatta lunga e allora dobbiamo concludere sottolineando che per ottenere questo straordinario album Arturo O’Farrill ha affiancato alla sua formidabile big band The ALJO ospiti di grande calibro: ha chiamato a raccolta compositori statunitensi tra cui Michele Rosewoman e Earl McIntyre; cubani come il pianista Alexis Bosch, autore di Guajira Simple, una bella elaborazione jazz dello stile rurale della guajira cubana, brano ben camuffato che solo orecchie esperte saprebbero catalogarne le radici; il multistrumentista, qui in veste di vocalist rumbero, Bobby Carcassés, il quale rivisita con brio il suo Blues Guaguanco, colorandolo con uno scat swingante in stile descarga mentre il coro lo incalza; il superlativo contraltista Michel Herrera; il cantante e tresero Juan de la Cruz Antomarchi alias Cotó che ci regala a tempo di changüi El Bombon , il brano cantato più divertente e metaforico della raccolta e in cui prende il volo la tromba dell’ottimo John Bailey; poi meritevoli di citazione tantissimi altri, ma in loro rappresentanza ricordiamo il sax alto Rudresh Mahanthappa, il trombettista Yasek Manzano, il talentuoso conguero Adel Gonzalez e anche i due figli di Arturo, Zack (batteria) e Adam (tromba), che hanno messo piede nella patria natale del nonno Chico O’Farrill, morto nel 2001 lontano dalla sua Cuba che aveva lasciato all’inizio della Rivoluzione e non aveva più avuto possibilità di ritornarvi. E in questo senso la musica universale, come preferisce chiamarla Arturo, di questo fantastico album esprime la ferma volontà di dire basta all’embargo, sì al dialogo e alla democrazia, al rispetto dei diritti umani, e a tante piacevoli sfide a suon di note. (Gian Franco Grilli)