Cuba/ DAYMÉ AROCENA, la Voz jazz afrocubana
Cantante, rumbera, compositrice, arrangiatrice, direttrice di coro e band leader, carismatica presenza della musica cubana, Daymé Arocena, venticinquenne, è già un artista che calca con sicurezza la scena internazionale del jazz. Tra le collaborazioni: Jane Bunnett, sassofonista e bandleader canadese. Recentissimo è il suo secondo album, ”Cubafonía” (Brownswood Recordings), che ha dato lo spunto a Gian Franco Grilli per intervistarla durante la tournée europea.
Daymé, sei avanera, ma di quale barrio?
Il mio nome completo è Daymé Arocena Uribarri, ho venticinque anni e sono nata e cresciuta all’Avana, nel municipio Diez de Octubre, tra le strade di Santos Suarez e Lawton. La mia era una famiglia di persone molto umili e la mia vita l’ho trascorsa finora in completa sintonia con la musica cubana e internazionale. A quattro anni cercavo di imitare Whitney Houston.
Quindi sei cresciuta dentro il “periodo especial” che significava dare priorità ai bisogni primari (trovare alimenti e prodotti per la casa che scarseggiavano), affrontare gli apagones (interruzione della corrente elettrica), fare rifornimenti quando arrivava l’acqua potabile, procurarsi medicinali eccetera. Quindi, in questo contesto difficilissimo, come hai potuto scegliere la strada della musica?
Io ero cantante e musicista ancora prima di nascere, il dono dell’arte delle note è nel mio dna. Ho sempre cantato, tutto il giorno per me era musica e così i miei notando questa mia predisposizione mi hanno iscritto al Conservatorio Amadeo Roldàn per studiare musica classica, dove dopo aver provato con diversi strumenti mi sono diplomata in Direzione Corale. Facevo anche piano complementare. Ma la cultura musicale afrocubana l’ho respirata nella calle e poi più grandicella facevo parte di gruppi musicali.
Conoscendo la situazione di quegli anni, mi chiedo come e dove ti esercitavi con il pianoforte poiché averne uno proprio è un privilegio di pochi artisti cubani non professionisti.
E’ vero, mio padre riuscì a comprarmi un piano elettrico non so come e dove perché ero piccola ma l’ho ancora a casa di mia madre e anche adesso quando ho necessità vado a casa sua ad esercitarmi perché io da qualche anno vivo da sola.
Dalle tue parti, nel barrio vicino de La Vibora, ad esempio, ricordo che ha vissuto il batterista Horacio “El Negro”; a Santos Suarez sono nati anche i musicisti Sergio e Josè Maria Vitier, la cantante Lucrecia, e credo anche Frank Emilio. Comunque apparentemente si tratta di calles non tra le più rumbere della capitale, è vero?
Non conosco a fondo la prima parte della tua ricostruzione, ma sul fatto di essere la mia zona non molto rumbera direi che non è del tutto esatto: è vero, hai ragione, si citano sempre per la musicalità rumbera i quartieri Jesus Maria o Cayo Hueso, ma dove sono cresciuta la rumba è ben presente. E posso dirti che la mia casa era una rumba permanente, nel senso che in due o tre stanze vivevamo in venti persone, una grandissima famiglia, tutti parenti, anche se io ho solo un fratello e quindi in ogni momento qualcuno intonava sempre una rumbita. Forse, sto esagerando, ma non tanto. I miei sono gente umile, mia madre è infermiera, nessun musicista tranne un parente che suonava con Tata Guines, ma lo spirito rumbero era sempre presente in casa.
Anche la tua carriera è legata in parte al progetto Havana Cultura dove spicca il dj e produttore britannico Gilles Peterson.
Sì, ho inciso nella compilaton Havana Cultura Mix e poi abbiamo collaborato con lui in altre produzioni. Poi come solista ho registrato il mio primo album “Nueva Era” e ora sono uscita con il secondo che si intitola “Cubafonía” che sto presentando in giro per il mondo.
Il tuo impegno musicale è teso a ibridare rumba, mambo, son, changüi, afro, toques della santeria, jazz, soul e scat. E in questo tuo bellissimo album hai coinvolto musicisti di primissimo piano tra cui Yaroldy Abreu, Dreyser Durruty, Gaston Joya (della band di Chucho Valdés), insomma hai voluto pezzi da novanta come sezione ritmica su cui depositare il tuo canto, i tuoi assoli. Mica male.
Hai visto giusto, ma vi sono anche altre influenze perché in casa ascoltavo anche dischi di pop-rock che mio padre riusciva ad avere da amici. Questo disco è l’inizio di un lungo viaggio dentro la storia, la cultura e i ritmi di Cuba, Io lavoro per realizzare la mia cifra stilistica rifacendomi a quel patrimonio, in modo nuovo, contemporaneo, e non rileggendo standard della nostra tradizione afrocubana ma con mie composizioni originali. Per il disco abbiamo potuto contare sui grandi artisti che hai citato, ma ve ne sono tanti altri che andrebbero segnalati come il trombettista Mayquel Gonzalez, Yuniet Lombida e…
A proposito di grandi nomi, ho letto che alcuni intravedono nel tuo stile forti influenze della regina della musica latina, Celia Cruz, e quella del soul, Aretha Franklin. Francamente non mi è sembrato di riscontrare tracce significative di queste due celebri artiste nelle tue produzioni. Per quanto riguarda lo scat: sono tuoi modelli i padri dello scat cubano, ossia Francisco Fellové Valdés, Bobby Carcassés o addirittura Amado ‘Guapachà’ Borcelà (che suonò con Chucho Valdés e purtroppo morì giovanissimo nel 1966)?
Sono d’accordo, e mi fa piacere che tu lo abbia rilevato, quindi vuol dire che conosci il nostro mondo… quegli accostamenti poi con le grandissime Celia e Aretha non sono proprio pertinenti. Le mie cantanti preferite sono Nina Simone e La Lupe. Parlando di scat, ho conosciuto Bobby Carcassés, un vero artista, multistrumentista e jazzista e ho imparato molte cose da lui perché fortunatamente è ancora sulla scena e lavora molto con i giovani. Di Guapachà non ne sapevo nulla fino a pochi mesi fa, quando un giorno me l’ha fatto scoprire la compositrice e cantante cubana Martha Valdés che ero andata a trovarla a casa sua. Quell’artista se n’è andato trent’anni prima del mio concepimento quindi ci sta questa mia mancanza.
Sono d’accordo, e tuttavia così giovane hai già fatto tournée internazionali. La prima volta che sei uscita da Cuba? E non hai pensato, come diversi tuoi colleghi e conterranei, di trasferirti all’estero, Stati Uniti o Europa, per muoverti meglio professionalmente?
Il primissimo volo all’estero lo feci quando avevo dodici anni: andammo a cantare con un gruppo della mia scuola in Venezuela. Ora io vado in tour all’estero senza grossi problemi, sono venuta qui in Italia già alcune volte, e francamente non penso proprio di andarmene a vivere fuori di Cuba, perché ho visto che diversi musicisti alla fine non ce l’hanno fatta, la concorrenza è spietata nel capitalismo, e così debbono arrangiarsi con lavori umili per sopravvivere.
Come tutti i musicisti sei iscritta al Centro Nacional de Musica e ricevi un salario modesto dallo Stato. Non ti sta stretto tutto questo?
Esatto, faccio parte del Centro Nacional Musica de Conciertos e ho un mensile in moneta nazionale. Quando faccio contratti all’estero verso poi la quota che spetta al Centro, comunque pago regolarmente le imposte su tutto il mio fatturato. Ovviamente ci sono cose che dovrebbero essere riviste, migliorare si può sempre ma in definitiva mi adeguo alle normative perchè sono realista.
E con la riapertura delle relazioni Cuba-Usa le cose sono migliorate per suonare nelle capitali del jazz e delle musiche afroamericane?
La situazione è decisamente migliore e io sono andata diverse volte negli Usa; torno adesso in Louisiana al New Orleans Jazz and Heritage Festival 2017 e poi al Blue Note di New York.
Tu credi nella religione sincretica della Santeria cubana: chi sono i santi che ti ‘proteggono’?
Yemayà, divinità del mare, delle acque e madre di tutti gli Orisha, Ochùn, dea dell’amore e della femminilità, ma anche Elegguà.
Pensando al tuo sconfinato amore per la musica e i ritmi, mi verrebbe da dire che incroci anche Changò, orisha contradditorio ma depositario di poteri sulla musica e simbolo di energia. Concludendo, ti saluto e ti ringrazio con un semplice Aché, Paz y Luz.
Sì, é probabile che anche Changò interceda nel mio cammino, ma il discorso si farebbe lungo e quindi a questo punto grazie a te, a voi per l’attenzione e naturalmente tanta Aché, nel senso di benedizione e grazia.
Gian Franco Grilli