Yilian Cañizares, archetto meticcio di Cuba
Violinista, cantante, compositrice, la poliedrica e affascinante artista cubana ha nel suo dna il ruolo di protagonista e fin da piccola non sta mai ferma, come succede al suo mentore ed eroe Omar Sosa. Dall’Avana a Caracas a Losanna dove ha incontrato l’amore. Suona di tutto, tra sacro e profano, classica e jazz, son e pregón, Chopin e Grappelli, canta in spagnolo, lucumì e francese. Riportiamo una parte della lunga intervista di Gian Franco Grilli a Yilian Cañizares, che il 25 luglio 2017 suonerà a Milano (Orto Botanico) in duo con Omar Sosa e Special Guest Gustavo Ovalles.
Seducente, dolce, simpatica, ma anche mujer battagliera come la madre e la nonna. Di seguito riportiamo una parte della lunga intervista che abbiamo realizzato per farci raccontare il suo percorso. Il testo completo e aggiornato verrà pubblicato su Musica Jazz quando uscirà il suo terzo cd in corso di lavorazione.Yilian è una giovane donna, devota alla Santerìa cubana, cresciuta in ambiente intellettuale, dice pane al pane e vino al vino, riconosce i pregi ma anche i limiti della sua Cuba a cui resta legata e augura un futuro più aperto, come lo è il suo spirito verso gli altri esseri umani e le altre culture musicali, in particolare verso quella venezuelana che ha approfondito durante la sua borsa di studio presso la scuola El Sistema, ma davanti a tutto mette le radici africane, la culla del ritmo, che ispira il suo modo di fare musica e di improvvisare con l’archetto e la voce.
Vogliamo partire dal tuo carné cubano?
Mi chiamo Yilian Cañizares Ruiz, i miei nonni materni sono di Santiago de Cuba e si trasferirono all’Avana dove nacque mia madre e dove sono nata anch’io negli anni Ottanta nel Vedado, uno dei quartieri più eleganti della capitale, nella calle 5a tra C e D, vicino sia al Malecon che a l’attuale Hotel Cohiba. All’età di cinque anni andammo a vivere nella parte nord del Vedado, tra calle 29 e Zapata nei pressi della Plaza de la Revolución e lì sono cresciuta. Per me è stata una grandissima fortuna essere cubana e aver vissuto in questo ambiente così speciale.
Un ambiente musicale, sei figlia d’arte?
Non direi. Io vengo da una famiglia di intellettuali e sportivi, però mia madre ha ricevuto una breve educazione musicale e suonava il piano, mio nonno materno suonava la chitarra e cantava divinamente ma per diletto, e forse avrò ho assimilato qualcosa perché vivevamo tutti nello stesso appartamento con i nonni. I miei genitori volevano indirizzarmi verso lo sport ma fin da piccolissima la mia propensione era per l’arte e lo capì presto anche mia mamma perché quando andavamo ai concerti non le consentivo di ascoltare in pace la musica, la bombardavo dicendo: voglio andare sul palco a cantare e suonare. Questa mia insistenza la convinse a portarmi dalla musicologa, pedagoga e compositrice María Álvarez Ríos per verificare se avevo delle attitudini musicali: la professoressa Alvarez mi fece cantare, poi dopo alcuni esercizi e con prove di musicalità disse a mia madre che possedevo talento. Da quel momento entrai nel gruppo Meñique , diretto dalla stessa professoressa, e si trattava di un gruppo musicale di bambini molto noto a Cuba che suonava tutti i sabati e spesso partecipava a programmi televisivi. Cominciò così la mia formazione musicale, eravamo a metà degli anni Ottanta, avevo quattro anni e continuai fino a sette anni, l’età che ti permette di fare la prova per entrare nella scuola statale di musica.
E il violino fu il tuo primo strumento?
Per la verità la mia idea iniziale era di studiare pianoforte ma quando gli insegnanti ci mostrarono i vari strumenti da vicino rimasi folgorata dal violino. Vedendo che cambiavo spesso opinione, mia madre chiese di fare le prove di ammissione sia con il piano che con il violino e le superai entrambe. Studiai per otto anni i due strumenti nella scuola di musica Manuel Saumell dell’Avana, ma la preferenza era per il violino.
Cuba ha sempre avuto un grande ruolo nella musica e anche nella formazione degli artisti, ma andasti in Venezuela per seguire studi specifici della scuola El Sistema fondata da José Antonio Abreu?
Nelle ultime decadi lì si è fatto molto con la musica classica e da quel Sistema sono usciti incredibili musicisti. Negli anni in cui studiavo ci fu un interscambio con El Sistema del Venezuela e tra l’altro studiai nella medesima classe con Gustavo Dudamel, oggi importantissimo direttore d’orchestra. Il livello era altissimo, certamente superiore a quello di Cuba perché in quel momento il mio Paese stava attraversando la crisi del “periodo especial” e in quegli anni diversi dei musicisti classici che erano andati all’estero per concerti o seminari poi non rientrarono, così il sistema educativo cubano soffrì duramente della perdita di questi docenti. I miei famigliari e in parte l’organizzazione del Sistema sostennero i costi della mia permanenza, mentre il Ministero della Cultura e il Centro della Musica dell’Avana mi appoggiarono ‘moralmente’, per i visti eccetera, ma non economicamente per le note difficoltà economiche. Andare in Venezuela, quindi, fu una grande opportunità non solo per continuare gli studi ma anche per poter ascoltare concerti di artisti di ogni parte del mondo che si esibivano a Caracas. Noi avevamo un patrimonio musicale eccellente ma rispetto alla scena internazionale eravamo completamente isolati, nessun grande artista veniva all’Avana.
Il violino a Cuba per me (ma forse sono miei limiti conoscitivi) vuol dire Enrique Jorrín (inventore del cha cha), Pupi Legarrata (della mitica La Sabrosa di Mongo Santamaria, anche se suonava negli USA), i violinisti de Los Van Van, e andando indietro ai classici, due che trionfarono in Europa tra Ottocento e Novecento, José White (1836-1918), Brindis de Salas , il “Paganini cubano” (1852-1911). Eppoi Alejandro García Caturla (1906-1940) e un po’ meno noto, ingiustamente dicono, Diego Bonilla (1898-1976) che ebbe una vita artistica molto intensa suonando in scenari parigini (Sala Pleyel), statunitensi (Carnegie Hall di New York) e non solo. Per te, violinista cubana, chi sono i veri rappresentanti di questo strumento nella storia dell’Isla?
D’accordo con quelli citati, perfetto, e tra i più moderni non bisogna trascurare quelli che mantengono viva la tradizione del formato orchestrale charanga, in primo luogo l’Orquesta Aragón dove attualmente ci sono Rafaelito Lay (figlio di Rafael), Eric Labaut Lay (nipote) che ha studiato con me, poi Lazaro Dagoberto.
Ho letto che sei santera e, come Omar Sosa, prima del concerto segui un rituale di protezione rivolgendoti agli Orisha della religione Yoruba. Ma a Cuba partecipavi ai toques de bembé alle manifestazioni di questa religione?
Più che una religione è una spiritualità e queste preghiere favoriscono che la musica e miei antenati entrino in contatto con il mio spirito. E’ qualcosa che mi unisce al mio passato e fa parte del mio presente e naturalmente a Cuba partecipavo a toques de santo, bembé o altre cerimonie della Regla de Ocha, anche se la mia famiglia è poco praticante di questa fede e non mi hanno spinto a questa iniziazione, che è maturata da una mia inquietudine, è un desiderio che sento come qualcosa che mi nutre, in essa mi identifico come essere umano. Io sono molto aperta e non credo che ci sia una verità assoluta, credo nell’energia, nell’amore e che con il nostro comportamento creiamo la realtà che ci circonda, una cosa presente non solo nella religione Yoruba.
Un percorso che immagino avrai iniziato da ragazzina a Cuba, e dico questo perché sappiamo di numerosi cubani emigrati, anche in Europa, e alcuni anche musicisti, che sono rientrati per farsi “il santo”; poi non parliamo dei “babalawo tours” con stranieri ma anche cubani che sono andati all’Avana e dintorni a comprarsi questa spiritualità da qualche babalawo dell’ultima ora.
Il mio cammino religioso l’ho fatto nella mia città, lì ci sono i miei padrini eccetera, io vado sempre alle radici delle cose. Io mi sono iniziata con una persona conosciuta da sempre dalla mia famiglia e di cui mi fido, ancora prima di essere il mio padrino nella santeria. Io sono “figlia” di Ochun, la dea della femminilità, dell’amore, dei fiumi. Detto questo, è vero che la religione purtroppo si è trasformata in parte in un fenomeno turistico e questo mi rattrista molto perché diventare sacerdote, babalawo, è una cosa seria e complessa: bisogna essere “prescelti” e poi è un percorso che richiede molti anni di iniziazione e preparazione.
…..parliamo dei tuoi dischi fin qui realizzati.
Il primo è Ochumare (2013,) che era anche il nome del mio gruppo quando mi incamminai verso il jazz e lo chiamai così perché formato da musicisti di diversi paesi d’origine e significava avere colori e personalità differenti, e mi piaceva molto avere tutto il mondo in un piccolo quartetto. Ochumare esprime l’energia sviluppata durante il cammino con il quartetto, è un lavoro di ricerca. Invocación (2015), il secondo, lo ritengo un lavoro più maturo rispetto al primo, mi sento maggiormente realizzata sul piano estetico. Contiene molta spiritualità, è un’invocazione alla vita, all’amore, è un album dedicato agli antenati, allo spirito di quei morti che ci hanno ispirato, che ci hanno amato nella nostra vita e continuano a proteggerci. Ogni canzone di questo disco è dedicata a una persona che per me significa qualcosa di personale, spirituale o artistico, ossia qualcuno che abbia influito a formare la mia persona.
La tua musica va infilata nello scaffale del Latin Jazz, World Music, Cubana, jazz o dove?
A me non piace catalogare la musica, ma uno può collocarla o chiamarla come meglio crede, perché ad esempio Invocación ha un po’ di tutte le mie influenze: afrocubana, yoruba, classica, jazz, francese, venezuelana, riflette la mia evoluzione e ciò che sono oggi.
I jazzisti che ti hanno influenzato e i tuoi favoriti di oggi?
Naturalmente i primi sono stati i musicisti cubani con i quali sono cresciuta ascoltandoli. Tra questi Omar Sosa …
… Scusa, ma Omar ha lasciato il Paese nel 1993 e mi risulta che non sia tanto conosciuto avendo svolto la sua carriera all’estero.
E’ vero, forse la gente cubana non lo conosce, ma tra i musicisti lui è sempre stato un riferimento; poi non possiamo dimenticarci dell’immenso Chucho Valdés, di Gonzalo Rubalcaba eccetera, ed è importante ricordarli perché questo è il nostro patrimonio che ha permesso a noi di andare avanti. Una volta uscita da Cuba scoprii poi Stéphane Grappelli, e conseguentemente le cose che si potevano fare con il violino nel jazz.
I tuoi violinisti preferiti? E cosa ti piace ascoltare?
Regina Carter, perché ha uno stile personale e non si ripete mai, Jean Luc Ponty, ma ribadisco: Stéphane Grappelli è il mio preferito in assoluto, mi sarebbe piaciuto conoscerlo perché è stato un musicista eccezionale; se ascolti venti violinisti, il suono di Grappelli lo riconosci subito, lui è unico. Diversi sarebbero i violinisti classici da citare, ma in testa ci metto Itzhak Perlman. Che musica ascolto? In generale, devi sapere che attualmente ascolto pochi violinisti e invece mi piace ascoltare sassofonisti, pianisti, contrabbassisti e percussionisti.
E cos’è che fa decidere una musicista, donna, cubana, di stabilirsi in un ambiente “freddo”, governato da regole, preciso, come può essere la Svizzera? Professionalmente non sarebbero più appetibili Parigi, Londra, Madrid o altre capitali nordiche per non parlare degli Usa?
Sono rimasta in Svizzera per amore, ho conosciuto mio marito di Losanna, dove viviamo. Una volta terminati i miei studi e dopo aver valutato se rientrare a Cuba, eccetera, decisi di continuare la mia vita qua con mio marito. E’ vero che qui ho dovuto faticare un po’ prima di adattarmi perché la cultura è differente rispetto alla mia, ma io cerco sempre di vedere il lato positivo e la Svizzera mi ha aiutato moltissimo nell’aprirmi mentalmente verso il mondo e questo si riflette bene nella mia musica. E credo che grazie alla musica posso mantenere viva la mia identità come cubana, ma qui ho anche il privilegio di poter viaggiare moltissimo, adesso sono in giro per concerti da circa due mesi e la fortuna di vedere realtà differenti mi arricchisce anche dal punto di vista umano.
Hai nuovi progetti in vista?
Il prossimo progetto sarà in compagnia di Omar Sosa e rappresenta un tappa importante per me poiché suono con il mio idolo, il mio eroe, la mia guida musicale e spirituale. Io e Omar condividiamo moltissime cose che vanno al di là della musica, c’è una connessione di tipo ancestrale tra di noi che non richiede tante parole per intenderci e lo si percepisce sul palcoscenico. Inoltre sto preparando il mio prossimo disco che dovrei registrare entro quest’anno.
Nella tua città c’è una comunità cubana e la frequenti? Ti piace ballare salsa?
Di cubani qui ne conosco pochi. Certamente che ballo, e anche molto bene (ride), la salsa cubana, ossia la rueda de casino, ma anche tutti gli altri generi ballabili in particolare però cubani.
Allora arrivederci all’uscita del disco e intanto Muchas gracias, Aché, Luz y Paz.
Gian Franco Grilli