Jazz nordico: JOHN SURMAN
Da un po’ di tempo era sfuggito dal mio orizzonte, ma ne è valsa veramente la pena riascoltarlo con tutti i cambiamenti intervenuti al Cassero Jazz di Castel San Pietro terme (Bo), domenica 15 aprile, in occasione della tappa di Crossroads.
Sto parlando di una colonna portante del jazz europeo anni Settanta. Con una mente autenticamente aperturista il britannico John Surman ci ha fatto percepire con il progetto «Invisible Threads», realizzato con questo trio (insolito) ospite di Crossroads-Cassero Jazz, quanto la musica classica (in particolare quella da camera) e jazz siano generi musicali abbastanza vicini. Il settantaquattrenne fiatista (con una respirazione diaframmatica ancora oliatissima) ha unito elegantemente e sapientemente clarinetto basso/sassofono soprano al pianoforte brasiliano di Nelson Ayres e al vibrafono dello statunitense Rob Waring, che si è rivelato tra l’altro un ottimo improvvisatore e magico nel conferire colori esotici e profondi con la marimba. E su quest’ultimo versante, azzeccatissime le sfumature etniche emerse in Pitanga Pitomba.
John Surman – come ha spiegato all’attento e qualificatissimo pubblico accorso al Cassero – voleva creare qualcosa di diverso unendo tre esperienze così distanti. E il risultato è stato abbondantemente raggiunto: un bellissimo lavoro corale che ho apprezzato ascoltando questa brillante performance di “biodiversità” musicale. (gfg)