ANDREA MINGARDI, E allora Jazz…
ANDREA MINGARDI incanta IL TORRIONE pieno come un uovo. Infatti nella roccaforte emiliana del jazz, sabato 13 aprile 2019, l’anteprima di “E allora Jazz…” è andata come si poteva prevedere, data la notorietà e l’effetto trascinamento del cantautore bolognese, seguitissimo da quasi mezzo secolo da migliaia di estimatori emiliano-romagnoli.
Parlare di Mingardi significa citare il più famoso cantante, umorista, intrattenitore e leader di una band che, da fine Sessanta a inizio Ottanta, spopolava e attirava fino a tre o quattromila giovani ad ogni performance nei più grandi dancing – Music Hall con repertori di ritmi ballabili moderni in bilico tra musica leggera, beat, R&B, funk, pop, soul, blues, James Brown, Joe Tex, Blood Sweet and Tears, Chicago, Otis Redding, Wilson Pickett, Rufus Thomas, Allman Brothers, Joe Cocker eccetera. Pezzi eseguiti magistralmente grazie a musicisti di primissimo ordine (molti erano anche dei jazzisti) diretti da Andrea Mingardi, che fin da ragazzo era tagliato per il ritmo, che aveva esordito nel mondo della musica proprio come batterista di rock&roll e che presto abbandonò le bacchette per cantare standard jazz nella band di Vanni Catellani, il trombettista che nel 1968 condivise il palco del festival Sanremo con Louis Armstrong. Quindi l’esordio professionale del giovane Mingardi sapeva di jazz e affini, poi il suo fortunatissimo percorso dentro la musica commerciale l’ha tenuto lontano dai club jazzistici anche se le sue preferenze sono sempre andate alla musica sincopata, alle forme jazzistiche. Ma al Torrione non ci aveva mai messo voce. Quindi il suo ritorno al jazz non poteva che iniziare dal prestigioso jazz club della città estense (club premiato a livello internazionale) interpretando alcune pagine immortali ed emozionanti del Great American Songbook, tra Cole Porter, Arthur Johnson, Gershwin, Frank Sinatra, Nat King Cole e Tony Bennett, tanto per citarne alcuni.
Non occorreva essere jazzofili o critici musicali per cogliere, fin dalle prime battute del concerto, la notevole conoscenza storica e padronanza dei fondamentali del jazz da parte del cantautore bolognese. Andrea Mingardi, 79 anni, artista di grande personalità, ha proposto un piacevole medley di classici del canto jazz, un ventaglio di brani del Great American Songbook a cui ha aggiunto via via canzoni di cantanti italiani – in voga tra il Quaranta e Cinquanta in grado di emulare la cifra stilistica dei crooner americani – come Natalino Otto (anch’egli, tra l’altro come Mingardi, nato come batterista), Ernesto Bonino, Alberto Rabagliati facendoci ovviamente ritornare a Cinico Angelini, Gorni Kramer, Trio Lescano, le orchestre di Barzizza e di Semprini.
La parte del leone in tutta la serata l’ha fatta indubbiamente lo swing, non solo lo stilema, ma swing come il cuore pulsante del jazz che in certe situazioni riesce a vincolare strettamente musicisti e pubblico. Mingardi in questo è abilissimo, è un degnissimo ambasciatore di swing e lo mostra tenendo in mano il pubblico dall’inizio alla fine come sanno fare solo entertainers swinganti. Mentre cantava o narrava passaggi della vicenda jazzistica generale e in particolare della sua esperienza personale, mi frullavano in testa sia il percussionista cubano Chano Pozo cantando “Si no tiene swing, no vaya a la rumba” sia il geniale Duke Ellington con “It don’t mean a thing, if it ain’t got that swing”. Come dire: se non c’è swing, non c’è sostanza, e non si va da nessuna parte. Perché si tratta di energia, di uno spirito che va oltre gli aspetti musicali e pertanto sta al di sopra di anticipi, di ritardi e di quegli accenti ritmici difficili da descrivere a parole. Così come per il jazz bisogna dire che non è musica e basta, e tra l’altro Mingardi ci ha fatto capire con le sue modalità espressive che il jazz è voglia di raccontare, di coinvolgere, è il frutto di incontri, poi è musica, che interpreta il passato, il presente e il futuro, è dialogo tra il gruppo e il solista, è improvvisazione. Ma prima ancora, è un modo di essere, la cui anima, però, è azionata dallo swing. E a tal proposito, il dna di ogni musicista di Mingardi è sembrato ben dotato di quell’energia elettrica che riesce poi a trasformare in assoli calibrati il climax instaurato con il pubblico perennemente sollecitato da Mingardi con aneddoti e battute ironiche. Questi sono gli altri protagonisti del piacevolissimo e rilassante “E allora jazz…”: il pianista Teo Ciavarella, il trombonista (e “portavoce” della band) Sandro Comini, il contrabbassista catalizzatore Felice Del Gaudio, il versatile batterista Bruno Farinelli (figlio d’arte,il padre era Piergiorgio Farina), la vocalist-corista Emanuela Cortesi e Maurizio Tirelli, tastierista e arrangiatore.
In sintesi abbiamo assistito a un concerto divertente, eseguito da musicisti di livello e a cui piace ravvivare giocosamente il dialogo tra loro e con il pubblico. Così, allegramente, è decollato il ritorno al canto jazz di Mingardi. A nostro avviso, si è trattato di una scelta che poteva riservare molti rischi, ma il primo risultato parziale è stato molto incoraggiante. Comunque sia, un primo traguardo concreto c’è stato: quello di aver trascinato al Torrione un pubblico nuovo, che non bazzicava il jazz, e ora, forse, sotto la protezione del loro idolo Mingardi, è pubblico educabile alla musica afroamericana.
(Gian Franco Grilli)