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L’audiovisivo “Cuba, Amo Esta Isla” (online in youtube) è un omaggio al popolo e alla cultura cubana e non è una adesione al sistema politico del Paese. Un potpourri di immagini e suoni dell’Isla Grande di Gianfry Grilli

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PAT METHENY chiude il Bologna Jazz Festival

27. novembre 2019 – 18:40No Comment
PAT METHENY chiude il Bologna Jazz Festival

Come da previsione degli organizzatori, il Teatro EuropAuditorium ha registrato il tutto esaurito per il concerto di Pat Metheny in trio. E non poteva andare in altro modo per il fenomenale maestro  statunitense della sei corde, uno dei più influenti chitarristi degli ultimi decenni con legioni di fan in tutto il Pianeta. E il “fan club metheniano” emiliano-romagnolo si era già mosso da tempo per assicurarsi la possibilità di applaudire le genialità del loro beniamino ospite del concerto clou e conclusivo del Bologna Jazz Festival 2019.

Infatti con il trio di PAT METHENY, martedì 26 novembre, si sono spente le luci dell’edizione 2019 della  fortunatissima rassegna jazzistica bolognese dopo oltre trenta giorni di concerti, presentazioni e workshop sparsi nel quadrilatero Bologna. Ferrara, Modena e Forlì  con il sostegno comunicativo di rara competenza del direttore artistico Francesco Bettini e del magistrale ufficio stampa di Daniele Cecchini. Figure che stanno in ombra, rispetto ad altri portavoce, ma dietro le quinte muovono le cose con sapienza, e allora bisogna pur riconoscerne i meriti, o no?

Il concerto. Tutti sappiamo che Pat Metheny rappresenta uno dei più formidabili esempi di virtuosismo tecnico, con un bagaglio lessicale che attraversa tutti i grandi maestri della sei corde, dotato di una fantasia improvvisativa incredibile. E a distanza di oltre quarant’anni di attività (è nato nel 1954) mantiene ancora un’energia invidiabile, fondamentale per sviluppare la sua lunga e variegata narrazione in note.  Per raccontare qualcosa di nuovo e continuare a lasciare il pubblico a bocca aperta, Pat  da qualche anno va in scena con Pikasso, un incrocio di tre chitarre e un’arpa, strumento  di ben 42 corde attraverso il quale sembra voler parlare a tu per tu con il pubblico prima di prendere il timone del trio. E così è stato: a questa sorta di chitarra multicorde preparata il La anche al concerto clou bolognese di fronte a circa 1400 persone. Abbandonato Pikasso, cambio di corde, un paio di accordi ed eccolo con i due musicisti poco meno che misconosciuti (per lo meno al sottoscritto), ovvero il contrabbassista polacco Darek Oleszkiewicz e il giovanissimo batterista statunitense Jonathan Barber per dare corso a una precisa carrellata con alcuni dei brani che hanno contrassegnato il suo cammino artistico. Performance applauditissima, non c’è dubbio. Ma a nostro avviso nell’insieme  è mancata quell’esplosività e quel vigore trascinanti di cui lo sappiamo capace. I confronti sono sempre antipatici, ma di tutt’altro spessore fu l’esibizione a Ravenna Jazz 2017 (è vero, in quartetto!)  dove, tra l’altro, la batteria era manovrata da Antonio Sanchez (e se vi par poco…. ) permettendosi di rubare la scena al leader per circa venti minuti e non solo il tempo di una canzone. Comunque (vado a memoria) quella la ricordo come una esibizione pazzesca. A Bologna, invece,  a mio avviso, soltanto in un paio di pezzi in chiave blues il trio ha pulsato complessivamente in modo swingante, ed è proprio il caso di dire che si poteva dare di più “senza essere eroi”.  Non è bello nemmeno fare il processo alle intenzioni, ma sembra che in questa occasione il leader abbia voluto creare qualche spazio privilegiato per un dialogo quasi esclusivo con il drumming di Barber (efficacissimo), “discriminando” il contrabbassista Darek che segnava un po’ il passo sottolineando soltanto i cambi. Come dire che il contrabbasso aveva istruzioni di volare a bassa quota e limitarsi poi assieme al batterista di definire le cornici dei quadri disegnati via via da Metheny. Se è vero che la democrazia sul palcoscenico porta a risultati migliori (vedi il “triangolo” di Michel Camilo trio, e non solo lui, ma altri  trii jazz storici, e lo stesso Metheny ma con partner più autorevoli) questa condivisione  non c’è proprio stata. E in sintesi potremmo  dire un trio leaderistico e non tanto cooperativo, al contrario, come si diceva poc’anzi, di altre occasioni o contesti in cui il virtuoso della chitarra se la vedeva con partners che di nome non fanno Barber e Oleszkiewicz. Senza indugi (e magari anche contro il parere di tanti fan) e con il rischio di apparire puntigliosi e/o presuntuosi,  diciamo che siamo stati di fronte a una delle formazioni meno brillanti di Metheny circolate in Italia negli ultimi anni. Da cosa è dettata questa scelta? Non lo sappiamo,  e quindi non ci resta che  metter lì delle supposizioni. Forse dal mercato, che spinge al ribasso, e quindi obbliga a imbarcare pezzi meno costosi? E’ una spiegazione parziale e partigiana, ma questa ci è frullata in testa meglio di altre, e anche perché si sa come vanno le cose nel business show. Tuttavia se al termine della “fiera” la grandissima maggioranza se n’è andata ampiamente soddisfatta dopo due bis, c’è anche una piccola fetta che sta attenta più alla qualità e meno al cuore. E soprattutto se in cattedra c’è la superstar delle corde, stella già affermata, riconosciuta da anni a livello planetario, ma che evidentemente nonostante tutto anche’egli come altri (che hanno fatto storia anche nel jazz) non si sottrae a certe operazioni figlie del compromesso tra arte e commercio.

Di seguito alcune foto del concerto scattate in condizioni non ottimali. E come potrete notare, non è stato facile, anzi una faticaccia fermare con nitidezza il volto del capelluto chitarrista jazz di Lee’s Summit. (gfg)

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