CD Strenna: l’afro-cuban jazz di Kenny Garrett
«Sounds from the Ancestors» (Mack Avenue -distr.Egea) del sassofonista afroamericano Kenny Garrett è uno dei più interessanti album di jazz ascoltati negli ultimi mesi. Una magnifica ibridazione di black music, ritmi e canti afrocubani per un ideale ritorno alla casa Africa in otto esaltanti tracce. Sicuramente una bellissima Strenna.
Se il sassofonista di Detroit Kenny Garrett non ha bisogno di presentazioni per jazzofili puri, che da anni ne conoscono il talento, le prestigiose collaborazioni e gli innumerevoli progetti, così non è per la maggior parte di fan e cultori di jazz latino focalizzati soprattutto sui principali protagonisti di questa vitale e allegra espressione, nata dall’incrocio di pronunce e ritmi afro-latini e sintassi del jazz statunitense grazie dal pionieristico binomio formato dal cubano Chano Pozo e dal jazzista afroamericano Dizzy Gillespie. Obiettivamente quel lontano sdoganamento degli anni Quaranta del jazz en clave non è stato sufficiente a scrollarsi di dosso l’ingiusta etichetta di superficialità, etichetta che gli impedisce ancora oggi di imporsi e occupare gli stessi ruoli e gli spazi del jazz mainstream e nonostante che negli ultimi anni si siano registrati jazzmen virtuosi con visioni pluralistiche in grado di rompere codici e confini consolidati per abbracciare le potenzialità dei ritmi afrocubani porta d’accesso per ritornare alla comune casa madre Africa. In questa direzione di africanizzare maggiormente il jazz si colloca questo bellissimo album Sound From The Ancestors di Kenny Garrett (Mack Avenue- distr. Egea), da diverso tempo impegnato nell’ibridare le sue musiche con altri idiomi figli della diaspora africana nel Nuovo Mondo, che apre e chiude le 8 tracce del disco con due versioni (la seconda un po’ prosciugata rispetto alla prima più ricca di accenti) del medesimo brano It’s time to come home (è ora di tornare a casa). Basteranno queste prime battute per scaldare subito il cuore degli amanti del jazz en clave attratti da magiche scansioni afro di due percussionisti sul quale il sax di Garrett prima sviluppa un semplice ma affascinante tema dentro un paio accordi bordone e poi alza un calibrato solo tutto all’interno di un insolito (per il jazz mainstream) perimetro ritmico imbastito da tamburi batà, cascara, congas e dove sulle note finali emerge il canto yoruba del batalero-vocalist Dreiser Durruthy, che spiana così il sentiero del ritorno all’Africa passando per Cuba. Scorciatoia, tra l’altro, che fu percorsa anche dal compianto trombettista Roy Hargrove qui omaggiato nel secondo pezzo, Hargrove, subito caratterizzato dall’unisono tromba (Maurice Brown) e sax in bilico tra funky jazz, soul, hard bop su una accattivante sezione ritmica basso, batteria, congas e richiami alla spiritualità di A Love Supreme di Coltrane, la cui energia affiora tra l’altro anche nel primo brano citato che mnemonicamente si ricollega all’Africa con la versione coltraniana di Afro Blue, opera originale di Mongo Santamaria. Per seguire la stella polare del progetto, Madre Africa, non poteva mancare un tributo al maestro dei tamburi Art Blakey incarnato in For Art’s sake dall’efficacissimo drummer Ronald Bruner. Infine ci riporta agli antenati passando per l’Avana naturalmente la title track Sounds From The Ancestors che, dopo una melodiosa introduzione dell’ottimo pianista Vernell Brown jr, spicca il coloratissimo contributo vocale-percussivo del poliedrico Pedro Martinez che nel dialetto lucumì si rivolge all’orisha Orunmila una sorta di rituale santero per la frenetica, infuocata e straordinariamente aggressiva ancia come quella del leader e le urlate invocazioni di Dwight Trible su uno sfondo apparentemente zoppicante. Queste le tracce più afrocubaneggianti dell’insieme del progetto – cui hanno partecipato tra gli altri, Corcoran Holt al basso, Rudy Bird, percussioni e ospiti come il tastierista Johnny Mercier, Lenny White (snare) solo per citare alcuni strumentisti – ma l’album è impreziosito da altre fantastiche chicche di impronta nettamente jazzistica poiché, nonostante questa illuminante escursione afro-cubana, Garrett resta uno dei grandi protagonista del panorama jazzistico odierno. Meraviglioso, da non perdere! E da regalare o regalarsi, giacchè siamo già nel periodo delle festività. (gfg)