Latinoamerica: El Gran Malón e il “fantastico” letterario
Chiara Mogetti, curatrice della newsletter El Gran Malón, intervista lo scrittore italiano Livio Santoro sul “fantastico”, genere letterario e visione del mondo che in America Latina ha svolto e svolge tuttora un ruolo di primo piano, riuscendo a raggiungere un pubblico globale con la categoria del real maravilloso (tradotto in Italia con “realismo magico”) teorizzato per la prima volta dallo scrittore cubano Alejo Carpentier in Il regno di questo mondo (1949) che desiderava distinguere questa corrente dal surrealismo francese. Quello che segue è estratto dall’intervista.
Diciamo subito. Cos’è El Gran Malón: è una festa di piazza, un evento di quartiere, un invito a partecipare alla vita della comunità. Con lo stesso spirito Edicola edizioni cerca di accorciare le distanze tra l’Italia e l’America Latina. E il fantastico?… genere letterario, visione del mondo, chiave di lettura trasversale, possibilità di generare immaginario che si dimostra capace di gettare ponti non solo tra livelli della realtà e del pensiero, ma anche tra culture diverse.
FANTASTICO RIVOLUZIONARIO: INTERVISTA di CHIARA MOGETTI A LIVIO SANTORO*
Parliamo di letteratura fantastica. Cos’è il fantastico?
…Che si tratti di “meraviglioso”, “weird”, “strano”, “sconcertante” o di altre coniugazioni del fantastico, c’è sempre un elemento di fondo: l’inclusione di ipotesi non verificate di realtà nel novero delle sue possibilità, in una forma, o se vogliamo in un codice, coerente e comprensibile. Quindi in questo senso il fantastico è un genere sovversivo, perché includendo ovviamente sovverte, e la verificabilità non è un suo problema…
In Italia tendiamo a rappresentarci la letteratura latinoamericana come in larga parte riconducibile alle categorie del fantastico, del meraviglioso, del realismo magico. Perché e come si è definita questa rappresentazione, secondo te?
In genere trovo scomodo già parlare di “letteratura latinoamericana” come di un ambiente omogeneo. E ogni volta che lo faccio, e che dico “letteratura latinoamericana”, mi rendo conto che non dico mai “letteratura europea” o “letteratura asiatica”, per esempio. Certo, c’è la questione della lingua comune, dell’uniformità della storia postcolombiana etc. Però al di là del fatto che le tradizioni nazionali dei vari Stati latinoamericani sono molto diverse tra loro, anche all’interno delle singole tradizioni nazionali ci sono proposte molto dissimili. Nel Novecento argentino per esempio abbiamo Borges, Bioy Casares e Cortazár, ma anche Arlt, Walsh e Saer. Una cosa che mi sento di condividere al riguardo la dice Beatriz Sarlo, proprio parlando di Saer: dice più o meno che negli anni del boom e di García Márquez la ricezione del mondo letterario latinoamericano era appiattita sul modello del “realismo magico”. E dice che un autore come Saer ne ha sofferto parecchio perché non conforme, e fu lasciato in secondo piano da un mondo editoriale che puntava tutto su Cortazár e García Márquez. Sappiamo che in questa vicenda entrano in gioco le aspettative della ricezione europea. In tal senso possiamo forse ragionare sul piano della geopolitica e del commercio: anche dopo centinaia di anni dalla Conquista, in Europa e non solo abbiamo continuato e talvolta continuiamo a figurarci l’Eldorado, l’incanto della selva, i tesori di gemme e i metalli preziosi… e continuiamo a voler vedere e vendere questa menzogna. Però c’è anche da dire che per fortuna, almeno così mi sembra, questo modo unitario di rappresentare la letteratura del mondo latinoamericano stia svanendo.
Si sentono fortemente nel tuo lavoro influenze di voci e immaginari provenienti dall’America latina. Quali sono i tuoi autori di riferimento e perché lo sono diventati? Trovi ci sia o ci sia stato un dialogo significativo, in questo senso, tra Italia e paesi latinoamericani?
Il primo autore che ho letto “seriamente” è stato Borges. La lettura de La casa di Asterione generò in me la prima grande vera emozione letteraria, mi fece vedere la letteratura sotto una nuova luce. Devo moltissimo a quel racconto. Ci sono poi sicuramente dei libri di altri autori latinoamericani che, ne sono consapevole, mi hanno offerto spunti impagabili, per esempio Favola Selvaggia di César Vallejo (peruviano), o Il vento distante di José Emilio Pacheco (messicano). O i racconti di Quiroga (uruguaiano). Questo per restare in America latina, come mi chiedi. Però nel mio piccolo attingo molto pure da tanti atri contesti, anche se inevitabilmente quello latinoamericano è per me il più familiare, diciamo per “questioni professionali”. Credo però che la maggiore influenza che traggo da questo ampissimo contesto riguardi la forma: mi sento molto a mio agio nella narrativa brevissima, che soprattutto in Argentina ha trovato grande spazio, senza rimanere schiacciata dal peso del romanzo. Ma è vero che anche in Italia ci sono e ci sono stati grandi autori che si sono cimentati in questa forma, pensiamo a Manganelli o Wilcock, che era argentino ma scriveva in italiano, e che rappresenta dunque in maniera esemplare il rapporto vivo tra noi e loro.
- L’autore. Livio Santoro (Spoleto, 1981) è cresciuto a Napoli e ora vive a Roma. Suoi racconti sono comparsi su: «effe», «Nuova Prosa», «Achab», «Crapula Club» e altre riviste. Ha scritto di letteratura per «doppiozero» e «Quaderni d’Altri Tempi». Dal 2012 è redattore della collana di letteratura latinoamericana Gli eccentrici di Arcoiris. È autore della raccolta Piccole apocalissi (Edicola, 2020). Il 23 febbraio 2022 uscirà la sua nuova raccolta, Commedie del vespero e della notte,
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