JAZZ, BJF 2024: 21 ottobre-17 novembre, tra Bologna, Ferrara e Forlì

Pat Metheny sarà la principale star del Bologna Jazz Festival 2024, che annovera in questa edizione nei grandi teatri cittadini altri protagonisti di massimo rilievo come Mulatu Astatke, Cécile McLorin Salvant e McCoy Legends. Ma nei jazz club ci sarà una programmazione che, a nostro avviso, restituirà un’immagine più significativa, variegata e completa dei del jazz multicolore oggi.

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MARIANO DÍAZ, dalla Patagonia a Madrid con i suoi eroi

30. gennaio 2022 – 20:01No Comment
MARIANO DÍAZ, dalla Patagonia a Madrid con i suoi eroi

Mariano Díaz, argentino, pianista, multistrumentista, compositore, produttore, da circa trent’anni vive in Spagna ed è uno dei tastieristi più apprezzati nel panorama musicale iberico e nordeuropeo, ma sconosciuto nel Belpaese. Un percorso sonoro in bilico tra pop, jazz-rock, musiche afro-americane, latin, world music e flamenco. Gian Franco Grilli l’ha incontrato per ripercorrere alcune fasi della sua fortunata carriera.

Diciamolo subito: Mariano Díaz è un fan sfegatato dei Beatles fin da bambino e quelle canzoni l’hanno fatto e lo fanno ancora impazzire. Tuttavia quelle melodie non hanno rapito totalmente la vita e la curiosità di quel ragazzino che dalla Patagonia cominciò a fantasticare l’idea di mescolare elementi espressivi di linguaggi differenti. Infatti, nonostante il suo prevalente spirito pop-rockero e incurante della musica tradizionale del suo Paese e del Sudamerica, Mariano è sempre stato attratto dall’estetica jazz-rock, dal jazz elettrico, dall’ibridazione delle musiche afroamericane, dal pianoforte elettrico e da marchingegni elettronici, si è dedicato a trasportare sulla tastiera il linguaggio della chitarra elettrica e in parallelo si è cimentato con altre culture musicali con modalità che gli hanno consentito di collaborare nel corso della carriera con i gruppi più importanti spagnoli come Perico Sambeat Quintet, New York Flamenco Reunion, Gerardo Nuñez Flamenco Ensemble, Javier Colina- Antonio Serrano Quintet, Pedro Iturralde Quintet, tra gli altri, e anche con artisti come Paquito D’Rivera, Eric Marienthal, Dave Liebman e Sonny Fortune.

Nato a Buenos Aires, ma cresciuto a Río Gallegos, città della Patagonia meridionale, il pianista, multistrumentista e compositore argentino, che da circa trent’anni vive in Spagna ed è uno dei tastieristi più richiesti nel panorama musicale iberico e nordeuropeo. Interminabile la lista delle collaborazioni discografiche con artisti trasversali di vaglia internazionale e alla testa di numerosi progetti come produttore e direttore esecutivo tra cui il freschissimo e stupendo «PEDRO ITURRALDE Tributo” (Karonte, 2021) in cui ha coinvolto i più autorevoli protagonisti del flamenco jazz. Entro l’autunno 2022 uscirà con «Boogie Girl» che si aggiungerà alla dozzina di album come leader e di cui il più recente è un doppio omaggio sia alle città di Liverpool e New York che ad alcuni degli eroi musicali di quelle realtà che hanno influenzato il suo percorso musicale. «Hêroes» è il titolo del doppio cd (Karonte, Madrid): nel primo, ripassa undici brani dedicati a Liverpool e ai Beatles (da Come Toghether a Hey Jude); mentre il secondo cd, New York On My Mind, undici pezzi da Miles Beyond a Bring It On Home tra cui quattro composizioni originali dell’autore, mette in mostra l’amore profondo di Díaz per il jazz rock, il blues, l’hard rock e la fusion e per alcuni protagonisti di quella magica stagione degli Anni Settanta che l’hanno influenzato: John McLaughlin, Mahavishnu Orchestra, Miles Davis, Jeff Beck, Jan Hammer, George Duke e Michael Brecker. Al termine del concerto di presentazione dell’album al Kunstfabrik Schlot Jazz Club di Berlino (Invalidenstrasse) abbiamo intervistato il versatile musicista argentino-spagnolo per ripercorrere alcune fasi della sua vicenda artistica.

 

Come è nata l’idea di questo«Hêroes», che, se non erro, è l’ultimo album della dozzina che hai finora firmato da leader?

Esatto. Per capire com’è nato il progetto, debbo dire a quanti non mi conoscono che prima di tutto mi piace interpretare alla mia maniera brani di bella musica di altri artisti. In questo modo io ho imparato tanto, ma ovviamente suono anche mie composizioni originali. Infatti in «Hêroes», registrato tra Madrid e Barcellona, ho inserito quattro mie canzoni nel progetto realizzato con il prezioso aiuto, è il caso di dire con “A Little help from my friend” (ride!) di Perico Sambeat, Javier Colina, Antonio Serrano, Marc Miralta, David Gomez e Gustavo Garcia, che sono dei musicisti geniali con cui lavoro da circa vent’anni e oggi siamo anche dei grandi amici. Così è stato piacevole incidere questo album-doppio omaggiando gli stili e i musicisti preferiti da sempre: il primo cd, che ho chiamato Liverpool, è un concentrato di temi dei #Beatles, che sono in assoluto i miei idoli fin dall’infanzia. Le loro canzoni sono così belle e fantastiche tanto essere diventate degli standard. E qui ho mostrato la mia facciata pop, beat o rock. Il secondo cd, invece, New York On My Mind, è un omaggio ad alcuni dei miei eroi sul versante jazz o jazz fusion come John McLaughlin, Jeff Beck, Jan Hammer. Come giustamente hai notato, in questi due dischi oltre a tastiere elettroniche, sinth, mini e micromoog io suono in un paio di brani anche la chitarra, uno strumento che amo moltissimo, ma i chitarristi veri del disco sono Gustavo Garcìa nei pezzi beatlesiani, mentre Alvaro Valle spicca nei pezzi “newyorkesi”, con assoli mozzafiato: ascoltalo in Led Boots e dimmi chi ti ricorda.

Facile: Jeff Beck. E questo è il presente. Facciamo invece un salto indietro per vedere il tuo primo approccio con la musica cominciando con qualche tuo essenziale connotato.

Sono nato a Buenos Aires il 19 luglio del 1967 e cresciuto a Río Gallegos, che si trova nella Patagonia meridionale, sud dell’Argentina. A nove anni iniziai a studiare la tromba, poi passai alla chitarra e a dodici anni decisi di dedicarmi al pianoforte. In famiglia c’era mio padre che, nonostante di professione facesse il bancario, si dilettava a suonare vari strumenti. Quindi in casa c’era sempre musica di ogni tipo: si ascoltavano i grandi del jazz come Louis Armstrong, i suoi primi dischi da leader degli Hot Five e degli Hot Seven, poi famose big band, Frank Sinatra, molti dischi di Quincy Jones, e ovviamente tutti i successi dei Beatles, gruppo di cui andavamo pazzi entrambi.

Tenendo conto che si parte sempre dal più facile, deduco che la tua carriera musicale sia iniziata interpretando i Beatles?

Io sono sempre stato un rocker, ma allo stesso tempo studiavo jazz e quindi mi sento un musicista di mezzo poiché mi è sempre piaciuto intrecciare ed elaborare questi due mondi sonori. Per prepararmi bene ho studiato molto a New York con Bruce Barth, Aaron Goldberg e prendendo lezioni private anche da Georges Cables, Joanne Brackeen e Kevin Hayes.

 

Quindi dal pop rock al jazz e senza studi accademici di pianoforte?

Scusami, ho dimenticato un passaggio: prima di andarmene negli Stati Uniti ho studiato classica all’Universidad de Artes y Ciencias Musicales (UCA) di Buenos Aires, ho fatto studi con Santiago Giacobbe e Susana Casacoff. Dopo New York sono poi approdato in Spagna e adesso oltre all’attività concertistica sono professore del Conservatorio Superiore del Paese Basco Musikene di San Sebastian, lì insegno piano jazz e sono docente anche al Conservatorio Superior di Madrid, la città dove vivo dal 1993. Se mi chiedi perché sono venuto a vivere in Spagna non saprei risponderti, ma sono coincidenze che capitano.

 

Con la musica tradizionale argentina, cioè tango, milonga, chacarera, gato, huayno, e altri ancora, che tipo di relazione sei riuscito a sviluppare? E neanche con quel jazz al sabor de mate?

Sono nato dentro quella cultura ma non suono esattamente quei generi musicali anche se ho un progetto di piano duo con il pianista Daniel Adoue, connazionale, ottimo compositore e vive a Francoforte. Assieme a Daniel abbiamo sviluppato il progetto tango meet jazz con repertorio di sue composizioni. Questo è il mio scarso rapporto con il tango, che non è assolutamente la mia specialità.

 

 

E a proposito di specialità, nella tua patria adottiva c’è invece il flamenco, e sempre più spesso assistiamo a progetti di composizioni andaluse adattate al jazz, senza andare a scomodare gli interventi sul campo di due tuoi colleghi di strumento come il compianto Chick Corea o Michel Camilo, oppure precedentemente i giganti John Coltrane e Miles Davis che sono stati considerati dei precursori del jazz flamenco con originalissime incursioni, anche se si è trattato di sperimentazioni e poco più. Diverso dal lavoro profondo di Pedro Iturralde e di cui tu potresti parlarci poi. Scusa, ma mi sembrava giusto ricordare e inquadrare il fenomeno prima di andare alla tua esperienza più recente che, per quanto mi è dato sapere, ti vede al timone di progetti in sintonia con il fenomeno espressivo appena citato: è così? Tra gli altri, hai condiviso musiche e palco con Chano Dominguez?

Intanto ritengo importante, preciso e utile il tuo riassunto. Per quanto mi riguarda, purtroppo non avevo ancora avuto la possibilità di registrare un disco con Chano Dominguez, con il quale ci conosciamo e frequentiamo da circa trent’anni, però mai condiviso un palcoscenico. A mio avviso Chano è uno dei grandi pianisti del jazz flamenco e sa sconfinare brillantemente anche nel latin. Io come leader non mi ero mai cimentato seriamente con il flamenco, ma alle spalle avevo già maturato esperienze con protagonisti di questo stile e tra cui il grandissimo sassofonista-clarinettista Pedro Iturralde. Avevo suonato con Jorge Pardo, eccellente musicista, oppure su un progetto di Gerardo Núñez, altro genio che viene proprio dalla terra del flamenco, ossia Jerez de la Frontera, un eclettico musicista, compositore e magnifico chitarrista con il quale ho collaborato molti anni, registrando in due dei suoi dischi tra cui «Andando el Tiempo», album che fu nominato ai Grammy nella categoria «miglior disco di Flamenco». Sono tante le cose fatte e su più fronti che a volte mi sfuggono. E infatti tra gli ospiti di quel disco, ora che ci penso bene, c’era anche il vostro trombettista Paolo Fresu. Con Gerardo Núñez, ad esempio, ho lavorato in tour negli Stati Uniti nei concerti con la Chicago Simphony Orchestra. Ecco, in sintesi, questa era stata la mia connessione con il flamenco, che è una musica molto complessa, e saperla intrecciare bene ad altri schemi musicali non è cosa facile, credimi.

 

Non ne dubito, però ci sei riuscito, e molto bene, stando ai risultati del nuovo meraviglioso cd «Pedro Iturralde Tributo», coinvolgendo addirittura talentuosissimi jazzmen. Ce ne parli?

Intanto consentimi di ricordare a chi non conoscesse questo caposcuola, che Iturralde è stato il primo e più importante musicista a dedicarsi totalmente nel combinare le musiche popolari spagnole, e in particolare il flamenco, con il jazz. Così dopo suonare e produrre per venticinque anni i dischi del grande sassofonista spagnolo, esattamente della Navarra, ho pensato doveroso produrre e dirigere questo Pedro Iturralde Tributo per celebrare la sua straordinaria musica assieme ad alcuni degli interpreti  più prestigiosi ed emblematici della Spagna e del mondo di questo idioma sonoro andaluso, un onore e un grandissimo piacere essere stato attorniato da musicisti così celebri. Sto parlando di Jorge Pardo (sax e flauto), Chano Dominguez (piano), Perico Sambeat (sassofoni), Gerardo Núñez (chitarra flamenca), Antonio Serrano (armonica), Javier Colina (contrabbasso) e il sottoscritto (pianoforte, Wurlitzer piano). Il disco è stato presentato nel novembre 2021 al festival internazionale JazzMadrid e in altre città con grande successo. Quest’anno faremo un tour internazionale partendo dalla Spagna.

 

 

Rispetto alle difficoltà del flamenco invece dovrebbe essere più facile come musicista sudamericano lasciarsi sedurre dai ritmi afrocubani e caraibici, dalla descarga, che sono pilastri fondamentali del latin jazz o no? E per questo ti chiedo che rapporto hai o hai avuto con il latin?

Il latin mi piace moltissimo e sul quel terreno ho avuto l’onore di suonare, tra gli altri, con il geniale sassofonista cubano Paquito D’Rivera in una tournée intera in Spagna. Mi piace ricordare Paquito anche come persona generosa e divertente e che con lui ho imparato moltissimi segreti suonando il suo repertorio molto variegato: infatti con la lente del jazz interpreta musica cubana, brasiliana, venezuelana eccetera, tutte sonorità che lo fanno impazzire e trasmette ai partner la gioiosità di queste musiche. Fantastico.

 

Musiche che ti portano oltre il jazz en clave (di stretta impronta caraibica ed erede del cubop) aprendo così nuovi orizzonti ricorrendo a un patrimonio ricchissimo ancora sconosciuto del Continente sudamericano, sei d’accordo?

Esattamente così. E’ chiaro che Cuba e altre realtà dell’universo antillano hanno iniziato quella storia, ma dopo questi pionieri sono arrivati contributi latinoamericani importantissimi a partire dal Brasile, anche se quest’ultimo è un mondo sonoro a sé. Io vedo il jazz latino e anche il jazz che continua la sua marcia verso il futuro attingendo al ricco patrimonio musicale tradizionale dell’America latina in gran parte ancora poco conosciuto.

 

Quindi secondo te queste unioni di elementi diversi aprono nuove frontiere al jazz latino e anche al jazz in generale?

Sì, perché sono convinto che si progredisce soltanto allargando la ricerca e rinnovando le espressioni esistenti. Io non conosco tutte le tradizioni musicali e culturali del nostro Continente, ma sono affascinato dalle varie musiche provenienti dalle nostre terre. Importante che siano suonate bene.

 

E quali sono oggi, a tuo avviso, i principali protagonisti del latin jazz?

Sono diversi i grandissimi leader di questo linguaggio, ma per non dilungarci troppo farei tre nomi e dico Chucho Valdés, Gonzalo Rubalcaba e Michel Camilo. Uno di cui si parla poco, ma che io considero un grande, è il venezuelano Otmaro Ruíz. Ovviamente mi piacciono anche alcuni giovani di talento che circolano nel panorama odierno di New York come David Virelles e altri, ma io sono più attratto da altre forme musicali.

Sei ancora in contatto con il mondo jazzistico di Buenos Aires? Puoi indicarci alcuni dei suoi numi tutelari?

Il jazz in Argentina è abbastanza vivace, è una realtà in movimento sin da quando il jazz è nato oltre un secolo fa e di questa nostra realtà in Europa se ne parla assai poco. Nomi da citare sono indubbiamente Santiago Giacobbe, un professore con il quale ho studiato e mi ha formato, poi il pianista Jorge Navarro, veterano del jazz in Argentina, il chitarrista Walter Malosetti e suo figlio Javier, un bassista incredibile e un amico con cui ho condiviso diversi progetti.

Stai lavorando a qualche nuovo progetto?

Entro l’autunno 2022 pubblicherò «Boogie Girl» (feat. Perico Sambeat), album già registrato che però ho preferito non sovrapporre come uscita a quello su Iturralde. Inoltre, e anche stavolta assieme al sassofonista Sambeat, stiamo preparando il materiale per un nuovo disco che si chiamerà «Melodies» e mi piacerebbe davvero avere ospite Paolo Fresu, che non conosco di persona nonostante aver condiviso, come dicevo poc’anzi, alla realizzazione di un disco di Gerardo Núñez. Abbiamo registrato in studi differenti. Spero che anche attraverso l’aiuto di questa intervista di riuscire a presentare i miei progetti in Italia, paese che mi manca. Grazie Gian!

Gian Franco Grilli

 

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Diego Pinera y Mariano Diaz

Pedro Iturralde y Mariano Diaz (cover cd Tributo Iturralde)

 

 

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