Cuba: ARTURO JORGE, Son dalla cuenca del Cauto alla cuenca del Caribe
Accostarsi seriamente alla musica popolare cubana significa fare i conti con l’Oriente cubano e il SON dalle sue origini. In questo senso riteniamo utilissima la lunga chiacchierata con il trova-sonero di Bayamo (Cuba) ARTURO JORGE, che il 1° settembre festeggia il sessantesimo compleanno e l’uscita in formato digitale del suo nuovo album Sonero de Oriente (Tumi Music, 2023). Ecco la sua storia raccolta nell’intervista di Gian Franco Grilli.
New York, Carnegie Hall, 1 luglio 1998: ultimo e leggendario concerto dei “muchachos” del Buena Vista Social Club (BVSC). Un quarto di secolo dopo è stupefacente osservare gli effetti che quello storico e indimenticabile evento continua a produrre su migliaia di giovani italiani ed europei, affascinati dal ricchissimo patrimonio musicale pre-moderno di Cuba riscoperto e riscattato da quel progetto radicato nella quintessenza dei ritmi cubani, il son che affonda le sue radici nella cultura rurale dell’Oriente dell’Isla. Qui – tra natura incontaminata, distese di palme a perdita d’occhio, alture di foresta tropicale, coltivazioni di canna da zucchero, mandrie di cavalli, allevamenti di bestiame, animali da cortile – sotto un cielo di stelle che illuminava il paesaggio agreste di San Rafael (Bayamo) lanciò il suo primo vagito Arturo Jorge il 1° settembre 1963. All’età di 8 anni, stimolato dal tres (cordofono cubano) dello zio materno Agustin Cabrales Mendoza e dal clima festoso del guateque, il guajirito Arturo inizia il cammino nel mondo delle note. Totalmente sconosciuto dalle nostre parti, oggi questo artista sessantenne bayamense è uno stimatissimo cantante, trova-sonero , compositore, forte della propria unicità espressiva elaborata nell’ambito del Complejo del son: dai costituenti basici del son alla molteplicità di antecedenti, varianti e affini come changüi, kiribá, nengón, sucu sucu, son montuno, son del llano, con integrazioni del cancionero del son caraibico-antillano tra cui bachata, cumbia e vallenato. Musica tonificante, ritmi cristallini, solari e pulsanti intrecciati a melodie che arrivano subito al cuore e ai piedi cantando buoni sentimenti, delusioni amorose e valori identitari. Tratti che ricordano sia il leggendario guajiro della Sierra del Rosario (Pinar del Rio), l’immortale Polo Montañez, sia i grandi apostoli Miguel Matamoros, Ñico Saquito, Compay Segundo (Francisco Repilado), per citarne alcuni. Se la sua robusta carriera musicale non ha potuto sconfinare nell’affollatissima capitale dell’Avana, dove si decide tutto, un po’ di notorietà è scaturita grazie alle cinque sue composizioni ospitate nella colonna sonora del multipremiato film internazionale Mambo Man e a Finca Santa Elena, esordio discografico con Tumi Music di Mo Fini, che ora gli pubblica anche il secondo album. Salutiamo quindi con grande piacere l’uscita di Sonero de Oriente, album che ci ha spronati a fare questa lunga chiacchierata con il guajiro natural oriental Arturo Jorge e ripercorrere assieme le fasi salienti della sua vita artistica. Una buona occasione, anche, per orientare il pubblico ad apprezzare meglio la palette sonera, la gamma di colori, le sfumature, gli accenti, le cadenze che caratterizzano il canto e la musica di questo artista capaci, a nostro avviso, di parlare a centinaia di migliaia di giovani e non solo, a quel pubblico internazionale avvicinatosi per la prima volta alla musica tradizionale e ai popolari ritmi cubani con il fenomeno BVSC di Omara Portuondo, Compay Segundo, Rubén Gonzalez, Ibrahim Ferrer, Pio Leiva, Eliades Ochoa e altre Estrellas.
Prima di passare all’intervista, concludiamo questo profilo dicendo che ascoltare il nuovo disco Sonero de Oriente di Arturo Jorge (Tumi Music) è stato, per chi scrive, come riavvolgere il nastro agli anni Settanta/Ottanta, immerso tra sonorità, orchestre e artisti di Cuba che si riconoscevano tra mille: per il modo di accentare le frasi, per la purezza delle melodie, per le pronunce tipiche della regione orientale cubana. Un mondo di scoperte musicali che significava Trio Matamoros, Carlos Puebla, Orquesta Original de Manzanillo, Pachi Naranjo, Candido Fabrè, Son 14, Elio Revé, Dan Den e giù fino all’immortale cantautore Pablo Milanés, anch’egli nativo di queste terre. Circa trent’anni dopo, questo personalissmo mosaico di emozioni si arricchì con Francisco Mela, batterista, e soprattutto il già citato Polo Montañez, el guajiro natural, non proveniente da Oriente ma con similitudini con il protagonista di questa intervista. E allora…
… Arturo, partiamo proprio da Polo se sei d’accordo. Vi sono delle connessioni e delle similitudini musicali tra la tua esperienza e quella che ci ha regalato il pinareño Montañez, autentico “campesino”, guajiro, seppur nel suo purtroppo brevissimo periodo di successo?
La principale connessione è che tutti e due siamo cubani; tra le similitudini mettiamoci il fatto di essere entrambi guajiros, veniamo dal mondo campesino, dalla cultura rurale. Anche se l’ambiente agreste della provincia e urbana di Pinar del Rio di Polo è diverso dalla pianura del Cauto, dall’oriente di Cuba, da Bayamo dove vivo. Polo faceva una musica criolla dell’occidente mentre io creo musica che affonda nelle tradizioni dell’oriente cubano. Affinità? Abbiamo trattato anche medesime sonorità, son, bolero, guaracha e altri stili. Io ho sempre cercato di sviluppare una forma musicale che sento dentro di me come fosse una sorgente; non so se questa sensazione la provava anche Polo. Sono certo invece di condividere con lui la volontà di preservare e diffondere ovunque l’autenticità dei nostri ritmi, il costume e le usanze delle nostre genti.
L’hai conosciuto e condiviso anche il palco in qualche festival o trasmissione?
Bueno, Polo lo incontrai quando venne a Bayamo per una conferenza stampa ma purtroppo non riuscii a parlarci e tantomeno a suonarci assieme. Sono rammaricato per non aver stretto amicizia con questa eccellente persona e artista che ci ha lasciati troppo presto per quel tragico incidente. Un destino crudele.
Ora festeggi il tuo sessantesimo compleanno con il nuovo disco “Sonero de Oriente” registrato con il Cuarteto Tradición. Prima di parlare del cd, vuoi mostrarci la tua carta d’identità, l’ambiente in cui sei cresciuto, i primi passi nel mondo della musica e quale tipo di studi hai frequentato?
Sono nato l’1 settembre 1963 a San Rafael, un municipio rurale che in direzione nord dista circa venticinque chilometri da Bayamo…
… la città cantata nel celeberrimo brano “A Bayamo en coche” dal favoloso Son 14…
Esatto, proprio quella. I primissimi anni ho respirato cultura agreste, poi mi sono trasferito in ambiente urbano a partire dall’età di sei anni; tuttavia ho nel sangue la vita rurale perché ogni anno tornavo nel villaggio natale poiché lì continuarono a vivere mio padre e i miei nonni. Lì ero immerso tra guateque e tradizioni dei campesinos, c’era una ricca tradizione musicale guajira e i miei zii materni suonavano la chitarra e interpretavano son, guaracha e altri ritmi della nostra tradizione. Io assorbivo come una spugna anche le altre espressioni della musica autoctona della llanura, il son del llano e il nengón del Cauto, seppure questo sia originario di Guantanamo, dove sono riscontrabili le prime vestigia e impronte del son, un po’ il padre di questo variegato genere.
Imparentato anche con il changüí, è giusto?
Giustissimo. Sono cresciuti in parallelo e potremmo classificarli come cugini il nengón del Cauto e il changüí, forma questa creata dagli schiavi africani provenienti dalla rivoluzione di Haiti e stabilitisi nella zona di Baracoa. Schiavi che poi si sono uniti con gli aborigeni (indios taino) e con gli spagnoli, ‘padroni’ della nostra terra. Per quanto ci è dato sapere fino ad oggi, il primo ritmo cubano in assoluto è però il kiribá e in parallelo nacque una specie del nengón nella zona di Guantanamo che poi si diffuse nel llano, la nostra pianura. Qui venne modificata sia la parte danzaria che la forma di comunicare attraverso il modo di comporre. Con il nengón siamo in presenza di un ritmo binario come il son; abbiamo poi la guajira binaria (Guajira Guantanamera, tanto per intenderci) ma c’è anche quella ternaria, in 6/8 o 3/4. Anche il nengón e il son del llano sono cugini ma ognuno ha delle peculiarità che molti di noi del llano sappiamo riconoscere, ma altri no.
E se di tico “del monte” cosa mi rispondi?
Che è uguale poiché noi diciamo del monte adentro, ma è sempre nella pianura del Cauto. Non è superfluo poi ricordare che il rio Cauto è il fiume più lungo di Cuba, che dalla Sierra Maestra, dove nasce, va poi a sfociare nel Golfo di Guacanayabo vicino a Manzanillo. E in questa area bagnata dal Cauto esiste una specifica e tipica forma di creare il son.
Indubbiamente un angolo di terra fertile, dentro la culla del son, che ha dato i natali a eccellenti gruppi e artisti importanti, tra cui Candido Fabré, Elio Revé, due che hanno segnato tappe importanti nella musica ballabile. E anche il famosissimo, e uno dei miei idoli, Pablo Milanés, la cui splendida voce dal particolare timbro mi è sembrato di percepirla idealmente nel brano a due voci A una Rosa, che inaugura il tuo nuovo cd.
Claro que sì, tutto vero, poi aggiungiamo l’Orquesta original de Manzanillo, Son 14, una lista lunga in cui metterei anche il più contemporaneo Raul Torres. Per il timbro e l’accento in stile Pablo, forse è dovuto a un’influenza indiretta, inconscia, avendolo ascoltato moltissimo come tutti noi questo geniale artista, almeno credo sia andata così.
A proposito di cultura rurale, hai qualche ricordo, ad esempio su decima, repentismo, punto guajiro, punto fijo e….
Bellissima domanda, e anche rara, tenendo conto che sei un europeo e stiamo parlando di una nicchia della musica tipica, per addetti ai lavori. Nella mia zona non si praticava la tradizione del punto cubano: per intonare una decima da noi si utilizzava il nengón del Cauto (cellula ritmica che faceva più o meno così: pa pa pà /un pa pa pà) e il guajiro cantava i versi della decima su questa cellula ritmica. Con questo non voglio dire che in assoluto da queste parti non si suoni il punto cubano, perché piace molto e soprattutto al campesino, a chi vive in ambiente agricolo, ma dove sono nato io, ripeto, non si praticava il punto cubano. Un argomento molto interessante da approfondire che però ci rimanda alla nascita del nengón, verso la fine dell’Ottocento, quando i mambises, ribelli di quel tempo, combattevano per l’indipendenza di Cuba dai colonizzatori spagnoli .
Quello era il tempo di José Martí, apostolo, eroe e indipendentista cubano oltre che uno dei pensatori sudamericani più brillanti e importanti di sempre. Tu sei nato dentro la Rivoluzione, tra l’altro ispirata al pensiero martiano, e stai vivendo tutto il processo del socialismo cubano fin da bambino, dalle prime campagne educative, zafra, eccetera, alle crisi, al periodo especial. Insomma com’è andata e come va?
Esattamente come tutti i bambini sono andato a scuola e non ci è mai costato nemmeno un centesimo, e ancora oggi nonostante le difficoltà non si pagano gli studi. Io ho fatto un percorso di studi regolare, ho conseguito un diploma in campo musicale. Per aprirmi la strada della professione musicale mi sono poi specializzato con il tres cubano, un cordofono tipico, che ha tre paia di corde doppie ed è adatto per la nostra musica tradizionale.
A proposito di cordofoni: ho visto in rete che tu utilizzi una doppia chitarra, è vero?
Verissimo. Questo strumento l’ho fatto costruire da un liutaio perché quando iniziai la professione avevo sempre bisogno di un tres e di un requinto (una chitarra di sei corde, più piccola ma più acuta rispetto alla chitarra tipica). Il mio nuovo strumento l’ho battezzato poi Octatres: la chitarra di sopra ha otto corde; le prime due corde sono singole; terza e quarta sono doppie, e le altre, singole. Ultimamente però per mia comodità e praticità ne ho tolte due.
Ha delle similitudini, ad esempio funzionali, con l’”armonico” ideato da Compay Segundo?
Sì, ha delle similitudini; è differente per l’accordatura ma la funzione è la stessa, cioè offre maggiori possibilità per armonizzare. Quindi io ho unito tres e requinto aggiungendo due corde in più. L’Octatres ha la stessa accordatura del requinto (la mi do sol re la); quando ne feci realizzare uno più grande. ovviamente l’accordatura cambiò. Me ne costruì uno un giovane liutaio di Bayamo, mentre l’altro lo commissionai alla Fabbrica Statale di Strumenti della Sonoc che si trovava nel barrio Cerro dell’Avana.
La conosco perché ho visitato e scritto di quella fabbrica diversi anni fa, e tra l’altro va detto, era in uno stato molto precario e la qualità lasciava abbastanza a desiderare. Invece parliamo del tuo primo concerto da professionista: quando e con quale gruppo?
Io cominciai suonando il tres nel gruppo Canoy diretto da Noyda González. Dopo due anni di gavetta in quel gruppo me ne andai per crearne uno alla mia maniera ampliando la sonorità di quello che facevo. Qui comunque, per varie ragioni, è un problema fare cose nuove, e tuttavia ho voluto realizzare il mio Cuarteto Tradición nel 2006 con il quale partecipai a diversi festival come il prestigioso Pepe Sanchez a Santiago de Cuba. Poi suonavo in club o alla Casa della Trova di Bayamo; ho lavorato anche come trovador accompagnadomi da solo con la chitarra.
Quanti concerti facevi allora e quanti ne fai adesso? E tutto con uno stipendio statale fisso o sei un artista indipendente?
Allora suonavamo tutti i fine settimana e a volte anche durante la settimana. No, noi guadagnavamo secondo i concerti eseguiti. Qui i musicisti che hanno uno stipendio fisso sono sostenuti dal ministero. Detto questo aggiungo che avrei bisogno di un vero promoter, importante, di un ufficio stampa che lavori per il nostro gruppo, ma al momento non è possibile. Il discorso con Tumi Music è stata una eccezione e spero che tutto ciò rafforzi i miei progetti perchè tieni conto che io sono una sorta di macchina per comporre musica e canzoni: vanto già 203 composizioni tra son, son del llano, guaracha.
Con il Cuarteto Tradición sembra che la tua mission musicale sia di restare aggrappato alle radici dell’albero antico del son del llano, senza contaminarlo con elettronica o aggeggi moderni, salvo alcune eccezioni presenti nel tuo ultimo cd dove ospiti una tromba e un violino in alcuni pezzi. Come compositore ti avvali di tecnologie moderne, di programmi specifici, software per comporre o ti affidi ancora al vecchio metodo, carta e penna? Sei iscritto all’ACDAM Agencia Cubana de Derecho de Autor Musical?
No, io compongo manualmente, carta e penna, e gran parte delle mie opere sono iscritte all’ACDAM ma non tutte a causa di un processo abbastanza laborioso e a volte non ho tempo fisico per dedicarmi a questo. So che molti colleghi sono iscritti anche ad altre società internazionali di autori come la SGAE spagnola, ma non conoscendo tutto il percorso da fare non mi sono mosso in tal senso. Aggiungo poi che essendo molto legato alla mia terra, a Cuba, quando morirò voglio che i miei diritti rimangano nella mia patria. Non vorrei che succedesse come al son-pregón El Manisero di Moisés Simons iscritto in Francia e così risultava poi appartenere a quella società. Insomma direi che qualche illecito c’è stato sul fronte diritti. E soprattutto dopo il trionfo della Rivoluzione, un cambio radicale che ha aperto contestazioni, proteste e da qui molti artisti cubani furono penalizzati.
Sei spesso ospite alla celebre Casa de la Trova di Santiago de Cuba, en Calle Heredia?
Wow, conosci addirittura le strade dei nostri club. Noi suoniamo spesso alla Casa della Trova di Bayamo, mentre a Santiago ho suonato varie volte al festival Pepe Sanchez. Pensa che la nostra prima volta a Santiago creammo un grande impatto con il quartetto. La gente ci manifestò grande ammirazione e si sorprese per come io fossi riuscito ad armonizzare il quartetto e con una musica che risplendeva tra quella di nomi blasonati come Eliades Ochoa e altri.
Esistono differenze significative tra il son del llano e quell’immortale Son de la Loma di Miguel Matamoros, brano che in passato conquistava subito chi si avvicinava alla musica cubana per la prima volta?
La differenza direi cha sta soprattutto nella forma e negli accenti del bongo. Tra i meriti di Matamoros quello di essere riuscito come nessun altro a fondere il suo son e il bolero.
Dopo tanti anni di musica, ti consideri sonero, bolerista o trovador?
Direi di essere un trovasonero, e a molti questa definizione non piace. Suono son allo stile antico come lo faceva Pepe Sanchez (santiaguero e creatore del bolero cubano) e poi uso molta canzone trovadoresca. Noi dobbiamo continuare a valorizzare e a far conoscere questa tradizione musicale che ha percorso il mondo intero. Più che fondere e combinare stili, per me è prioritario comporre ispirandomi a quella cultura musicale.
Oltre al son autoctono tra le tue composizioni c’è però anche del bolero o sbaglio?
Hai ragione, e ne ho moltissimi e con melodie e parole attualissime, di una freschezza assoluta, anche su musica tradizionale. Tanto che a volte sorprendo molti del pubblico quando scoprono che io sono l’autore di alcuni brani eseguiti in quel concerto mentre loro li avevano scambiati come successi di Matamoros. Strana la musica eh…
Possiamo ribadire che contribuisci a rinnovare le radici di quell’albero musicale e ne rivitalizzi la funzione estetica e sociale?
Ci provo, grazie! Con quei ritocchi naturali impediamo che diventi musica da museo. E così facendo si rinnova la dimensione romantica del bolero primigenio, poiché le persone, nonostante tutto, necessitano di romanticismo, di sentimento, di amore. E quando dico bolero, lo intendo alla maniera di Compay Segundo. O come fece Matamoros aggiungendo un estribillo, un coro, convertendolo così in bolero-son. Poi tu sai benissimo che da questa forma sono derivate delle varianti con interventi di tipo armonico, jazzistico, come il filin di Portillo de La Luz o di Mendez. Eppoi c’è anche chi fa il contrario, prende il son e va al bolero con l’introduzione nella modalità tipica della trova. Tema interessante che non affrontiamo adesso ma sarebbe utile parlarne con te.
Sonero de Oriente, in tutto dieci brani estremamente attrattivi soprattutto per le cellule ritmiche e altre curiosità che potremmo illustrare meglio con qualche spiegazione in più. Tralasciamo i generi più rappresentati come son, son montuno, guaracha e son del llano e invece concentriamoci su un paio di esecuzioni. Ho notato che in alcuni pezzi il La è affidato al coro, poi arriva la intro e di seguito il tradizionale dialogo call/response, o chiamata e risposta di origine africana: è una tua libertà creativa o stai rispettando alcuni codici?
Ci sono varie forme di comporre il son: chi parte dall’introduzione, chi dal testo, poi viene l’estribillo (coro). Nel mio caso ho ereditato molto dai guajiros, improvvisatori de monte adentro. In più io ascoltavo molti programmi radiofonici di questa musica, di artisti come Carlos Puebla, Eliades Ochoa, e tutto ciò ha influenzato quanto avevo assorbito dal mio ambiente famigliare di crescita grazie a mio zio musicista Agustín Cabrales Mendoza, un mix di culture campesine e tradizionali.
Se con Mi corazon sufre por ella, (traccia 7), fai un’escursione comprensibile a Santo Domingo intrecciando bachata e son, con Corazón bandido (traccia 4) vai addirittura in Colombia combinando son e vallenato. Una curiosità quest’ultima del vallenato, che si aggiunge nel medesimo pezzo a una tromba dal timbro jazzistico, neworleansiano, virando poi in chiave Septeto tipico con colori mariachi; e infine anche un bel violino che spicca conferendo un’ impronta charanguera al pezzo. Innesti e incastri, piacevoli, che però nel modernizzare il son típico attraverso tali commistioni rischiano di allontanarsi un po’ dal nengón, dal son del llano. Cosa ne pensi?
Sono sincero e cerco di non girarci attorno. Tralasciamo bachata-son perché come hai detto è un binomio lineare, usuale. Invece sugli altri punti evidenziati dico: non ho nè tromba nè violino nel mio Cuarteto Tradición, vorrei però incorporarli e ci sto pensando. Ma l’operazione che ascolti nel disco è nata parlando con Mo Fini, il produttore della Tumi Music: abbiamo tentato l’esperimento con un arrangiamento particolare della tromba ma tenendo presente anche che il son deve avere maggiore importanza del vallenato. E qui la scelta è stata difficile, perché devi sapere che dopo la música cubana il vallenato è il mio stile preferito, e per colpa di mio padre.
Cioè?
Colpa, in senso buono; mi influenzò essendo lui un fan sfegatato di questa sonorità colombiana. Pensa che mentre lavorava nei campi lui intonava sempre temi di vallenato e così ho ereditato quelle sonorità.
Molto curioso e raro questo dettaglio. Credo che pochi cubani sappiano di questa música di Valledupar (César, Colombia), un genere che a partire dagli anni Quaranta del Novecento ha nell’acordeòn (fisarmonica) lo strumento príncipe di queste formazioni tipiche completate da voce, guacharaca e cajita. Diciamo poi che di acordeòn a Cuba se ne vedono pochissimi. Allora questa tradizione come arrivò alle orecchie di tuo padre vivendo in zone rurali dell’Oriente, decentrato, dove le opportunità e i contatti internazionali erano e sono stati sempre deboli e inferiori rispetto a chi vive nella capitale.
Grazie della domanda che mi permette di fare chiarezza su questo punto ignorato anche da moltissimi miei colleghi connazionali. La musica nell’Oriente di Cuba si è sempre nutrita di molte arie, di espressioni del Caribe, area dove la Colombia si affaccia proprio sul ‘mediterraneo caraibico’, con quella regione colombo-venezuelana dove nasce il vallenato. Bene, dal nostro territorio spesso è possibile ascoltare emittenti radiotelevisive straniere, radiotv che entrano nelle nostre case con musica, film, telenovelas di altri paesi. Ecco così giunse il vallenato a casa nostra, folgorando prima mio padre e di riflesso anche me con quel genere di cui ricordo uno dei grandi come Diomedes Diaz.
Hai suonato in Colombia, dove la música cubana è amatissima, e proprio da quella terra dove avvenne il lancio della “meteora” di Polo Montañez?
Purtroppo no, e mi dispiace perchè dopo Cuba il paese che vorrei vedere assolutamente è la Colombia. Noi siamo guajiros come i colombiani della regione Guajira, vicino a Valle Dupar. Tra l’altro nelle province orientali cubane abbiamo molti modi di dire simili a quelli del Caribe colombiano. Non sono uno storico ma posso dire che ci sono legami antichi tra i nostri due paesi, tenendo conto che molti nostri antenati sono discendenti degli Aruacos, indios che sembra procedessero proprio da quelle terre colombo-venezuelane.
Tornando al menú del cd e visto che abbiamo parlato di Colombia, c’è anche qualche lievissima traccia di cumbia in questo ventaglio di sones?
Di cumbia autentica direi di no; ma forse è dovuto a una cellula rítmica del bongo che impatta sensibilmente. In diversi sones è facile trovare accenti che possono assomigliare allo spirito cumbiambero, come hai rilevato tu. Posso confessarti che ho composto solo un brano con i colori della cumbia in tutta la mia carriera, ma è possibile che ogni tanto sfugga dalle mie corde qualche sfumatura di quella musica.
La mia perplessità nasce da esperienze e ascolti fatti in quelle regioni colombiane. Quegli accenti particolari, presenti nelle miscele afrocolombiane, mi è sembrato di percepirli lievemente anche in Sonero de Oriente. Tra l’altro, e tu lo sai meglio di me, separare gli ingredienti di questi cocktails sonori non è facile.
Forse è così, eppoi ci sono diversi modi di interpretarli. Tra l’altro, per fare un esempio, le caratteristiche del son del llano non si studiano in conservatorio. Io ho una canzone dove canto che il “son del llano no està escrito en literatura pero està en el corazón del guajiro en la llanura”, come dire che ci sono varie forme del bongo in relazione all’andamento e quindi si notano nuovi beat. Bisogna sapere che se il son è un po’ lento si suona con la cosiddetta marcha (pìchipàchipìchipàchi, che lo inventò un habanero per il septeto) mentre qui in Oriente c’è un accentazione controtempo: catapà catapà catapà. Ma spero che ascoltando i miei dischi anche i non addetti alla materia riescano a cogliere questi colori o elementi che non sempre si riescono a scrivere su carta.
Scusa se torno sull’argomento della tromba. Incorporandola nel quartetto non c’è il rischio di modificare identità e caratteri originari della vostra mission, cioè quella di preservare la specificità del vostro linguaggio distintivo dentro il Compleo del Son?
No, io metto al centro la mia idea di fare musica adattando la tromba a questo mio concetto. Se hai ascoltato altre mie composizioni avrai notato che ho sempre cercato di mantenere il mio stile.
Qualche perplessità mi rimane ma… Parliamo di Son, pilastro della musica popolare cubana: molti ritengono essenziali sia le claves sia il pattern rítmico della clave, tanto che circola ancora la massima “sin clave y bongo no hay son”, che è anche il titolo del son montuno di Pedro Aranzola portato al successo dall’Orquesta Aragón. Siccome nel tuo Cuarteto la clave xilofonica (quella tanto studiata da Fernando Ortiz) non l’ho ascoltata, mentre invece risalta il tappetino ritmico delle maracas, ti chiedo: è una scelta stilistica della tradizione di Bayamo? Non ti piace la clave o quale altra motivazione in tale scelta?
Le claves non ho voluto impiegarle non perchè non mi piace quel tipo di percussione, di scansione rítmica, ma semplicemente perché ritengo sia falso, scorretto, dire che non si può fare son senza clave física e bongo. Il son non nacque con il noto disegno rítmico (ta ta/ ta ta ta) 2/3 o 3/2. Nel son la clave entra nel 1920 quando lo stile viene portato dall’Oriente all’Occidente, cioè nella capitale dell’Avana. Questo, secondo me, lo si deve alle persone dell’Avana che volevano suonare son e provenivano dalla tradizione religiosa del Palo (di origine Bantu), mentre la campana la introdussero i soneri di tradizione Yoruba. Poi riguardo al bongo arrivarono con accenti specifici del tipo: piqui paqui/ piqui paqui, tanto per dare un’idea. Aggiungo che in molti casi, e in diverse orchestre, introdussero perfino la quijada de burro (mascella d’asino) eccetera. Per me il son avanero nacque così. Invece il nostro son, quello originale, nasce con il tres, la guitarra, maracas e a volte il laud (liuto che si utilizza molto per lo stile del punto cubano, musica campesina). La clave, secondo me, si porta dentro all’anima.
Più o meno è il succo dell’intervista breve a Richard Egües (che feci molti ani fa) sempre su questo argomento, e in due minuti mi illuminò sul concetto ampio e astratto di clave: “anche senza i palitos (le claves) può esserci la clave, ma non si vede”. Andiamo avanti con altri protagonisti come la botijuela e la marimbula: che relazione hanno avuto con il son?
Se parliamo del changüi, certo che troviamo la marimbula assieme ad altri due elementi fondamentali di quella modalità primigenia come tres e bongo. Per concludere il discorso precedente ribadisco che non mi è mai interessato mettere le claves (e oltretutto c’è chi le usa ma non sa come farlo correttamente) mentre ho preferito tra gli strumenti a percussione minore le maracas. Tieni conto che la maraca è uno strumento dei nostri aborigeni.
Una parentesi: a proposito di aborigeni e gruppi etnici, quali sono le origini dei tuoi antenati?
Le mie impronte sono trietniche, ossia indio-ispano-africane. Per quello che so, mia nonna materna era figlia di un indio e di una spagnola. Mio nonno materno era nero e sua madre era originaria delle Isole Canarie. Io sono il risultato di una vasto mescolamento. Il mio nonno paterno proveniva dall’Asia e con questo sangue misto sono di pelle bianca. Un mix intricatissimo.
Nel tuo primo cd c’erano anche brani in stile guarachas, e in Sonero de Oriente?
In questo disco non ci sono guarachas, un disco formato da nove mie composizioni e una, Vamos a valle Elqui (Vamos al baile), cofirmata con Mo Fini. Comunque ribadisco che ho pensato musicalmente alle composizioni dentro il perimetro del son del llano. Non so se te l’ho già detto ma io ho 203 composizioni.
Certo, e allora approfitto per chiederti: come comincia e termina il tuo processo costruttivo di un’opera? Hai una ricetta particolare, una modalità, per creare una nuova canzone? E ascoltando i testi di Sonero de Oriente in bilico tra ritmi allegri e contagiosi, amore, disamore, sconfitte, rivalse nelle relazioni di coppia, metafore, mi viene da chiederti quanto spazio occupano “el corazón”, il cuore, l’anima, i sentimenti, e il tuo vissuto nel vasto catalogo di composizioni che hai sfornato?
Rispondo alla prima parte: per prima cosa mi serve una melodia e l’idea su cui fare ruotare il testo, quindi scrivo le parole. Da quel momento sento come la melodia mi porta verso un genere, uno stile o un altro. Accade anche di impiegare un altro metodo quando mi dedico alla poesia o mi cimento con la decima. E quando noto qualcosa che mi piace ecco che ci metto la melodia, che è sempre il primo elemento nel mio modo di comporre. Per l’altra parte non saprei dirti le percentuali ma hai colto nel segno, alcune aspetti sono autobiografici, sono un essere umano con sentimenti, pregi e difetti.
Facciamo un salto indietro, alla tumba francesa, all’órgano oriental: che si dice e si fa su questo fronte nella tua Bayamo.
A Bayamo non siamo stati influenzati dalla tumba francesa, radicata invece a Guantanamo e Santiago de Cuba, perché arrivata da afrohaitiani che emigrarono qui da Haiti. L’organo invece è entrato a Cuba dalla nostra provincia, e in particolare da Manzanillo. Ad esempio qui a Bayamo c’erano abbastanza gruppi di órgano oriental, e ora ve ne sono alcuni formati da donne e di cui il più popolare è l’organo Mambisito. Tra l’altro ne esiste anche uno di bambini affinchè proseguano questa tradizione e cultura. Questa tradizione storica va ricordata e la si deve soprattutto alla familia dei Borbolla. Una pagina molto bella.
Andiamo verso la conclusione e cambiamo registro. Negli ultimi trent’anni ho notato tra i musicisti cubani un sempre maggiore interesse per le religioni sincretiche, per fini spirituali e/o estetici. Tu che in alcuni brani richiami di sfuggita Dio, sei credente, appartieni a qualche culto? Qual è la tua opinione sulle sempre più frequenti commistioni di spiritualità e música?
Io credo in Dio e nell’universo ma non pratico nessuna fede, non vado in Chiesa. Come cubano e amante della mia cultura mi piace ascoltare la polirtimia, gli strumenti e divertirmi con rumba, guaracha, son eccetera. Ma c’è tanta rumba che non mi stimola per ballare, però se quel gruppo si chiama Los Muñequitos de Matanzas beh allora…si. Non saprei risponderti sull’ultima parte della domanda, anche perchè non sono un fanatico di queste pratiche, eppoi il mio sangue è 60% spagnolo, un 10% africano, il resto indio, asiático e chissà che altro ancora.
Negli ultimi anni sono tantissimi i cubani che hanno lasciato il paese e anche moltissimi artisti e musicisti migrano da diverso tempo all’estero, per problemi di carriera, di economia, e chi anche per politica. Tu invece in Este año (traccia n.6) vai all’incontrario di chi scappa e canti in modo chiaro “Este año pueda ser que viaje/A Calcuta Roma o Nueva York/Pero yo me regreso a mi tierra/Pa’ seguir defendiendo al folclor“. Insomma come dire Cuba Sì… Qual è la tua opinione su questa situazione di crisi e limiti sempre più difficili da sopportare?
Dico che è una realtà molto complessa in generale, a livello musicale posso dirti che qui io non trovo un trombettista che invece mi servirebbe. Ripeto, non è facile affrontare questa argomento, tuttavia io penso che i musicisti vadano fuori sognando grandi successi , c’è chi riesce ma sappiamo che tanti alla fine debbono dedicarsi ad altri mestieri per vivere e non sempre gratificanti. Ovviamente i risultati possono dipendere anche da che strumento suoni, poichè in alcuni casi non potrai emergere anche se sei super talentuoso con il tuo strumento, ma si tratta di vedere se il grande mercato è aperto a tutto. Insomma ci sono tante variabili. Molti se ne sono andati, è vero, e io non critico quei giovani in cerca di condizioni economiche migliori. Io ho avuto qualche opportunità ma sono troppo legato alla mia terra. Poi alla mia età … no, non vado fuori perché non saprei vivere senza tenere i piedi nella mia isola. Non sono sposato, ho una figlia, che ha imparato a suonare la chitarra da sola , però non si dedica alla musica, mentre suo marito, ossia mio genero, è musicista, pianista, chitarrista. Io resto qui, magari se apparisse un tour di concerti andrei, ma poi la mia casa è qui dove vivere.
Come ultima domanda ti chiedo quante ore dedichi allo studio e se è importante continuare a studiare anche dopo tanti anni di pratica strumentale?
Bisogna sempre studiare, perché l’ adagio “ciò che si impara bene non si dimentica” io non lo condivido del tutto, è relativo. Io credo fermamente alla necessità di esercitarsi in continuazione per ottenere maggiore pulizia e ricchezza di suono, poiché in definitiva la tecnica non è tutto. A questo punto mi corre l’obbligo di ringraziarti per questa bellissima opportunità che ci hai dato per far conoscere il mio lavoro, il mio disco, le musiche tradizionali e un po’ di storia dell’Oriente di Cuba a pubblici nuovi. Grazie di cuore.
Gian Franco Grilli