CD d’autore con tinte latine: “SOLENNE” di CARLO MAVER
C’è molto di Argentina, tantissima ispirazione ai linguaggi rioplatensi, alle culture e spiritualità andine in “Solenne” (Visage music, 2024), il titolo dell’ultimo album dell’ottimo bandoneonista, flautista e compositore bolognese CARLO MAVER.
Quando si dice latin si pensa erroneamente solo alla musica popolare caraibica, cubana e latinoamericana, ballabile o jazzificata. Ma c’è anche altro, il latin più sudamericano, argentino, cileno, colombiano, quello del tango rioplatense, tra Montevideo e Buenos Aires. Bene, qui in Solenne, c’è molto di Argentina, tantissima ispirazione ai linguaggi rioplatensi, alle culture e spiritualità andine in Solenne”, titolo dell’ultimo album dell’ottimo bandoneonista, flautista e compositore bolognese CARLO MAVER. Un interessante percorso che ci accompagna in Sudamerica, in quella che ha frequentato e studiato di più, l’Argentina, ma soprattutto, e non solo, lo fa con le prime quattro tracce, tra atmosfere, sensibilità tanguere e andine impiegando bandoneon (strumento studiato con il grande maestro Dino Saluzzi), flauto basso, flauto traverso e il moxeno, flautino tipico del folklore andino. Un racconto sonoro sviluppato con una particolare ritualità e liricità in dodici tappe, dove spiccano grande intimismo e profondità spirituale (Preghiera andina è il brano 8 di questa raccolta). Da poco superati i cinquant’anni, il versatile artista Maver con questo suo quinto album sembra tracciare anche un primo bilancio della sua lunga carriera e della sua vita, una vita sempre in viaggio dentro le musiche del mondo, musiche periferiche, in Asia, in Africa e tra quelle dell’Argentina, la patria dei grandi protagonisti di queste due tastiere a bottoni contrapposte, ‘fisarmonichetta’ (chiedo scusa, è per far capire), tasti dalla vastissima gamma di possibilità espressive, con timbriche celestiali, appunto il bandoneón. Strumento bellissimo, che affascina anche solo vedere l’andirivieni del mantice gestito da mani sapienti e aggiustamenti corporei. L’album, con l’unica pecca di scarse note di presentazione e tra l’altro graficamente poco leggibili. Capisco che l’art director voleva colpire, impattare, ma gli ingredienti essenziali in una etichetta debbono risaltare subito. Ciò detto, sono dieci brani originali composti da Maver, uno scritto assieme a Hesam Inanlou, maestro iraniano del kamancheh, un violino verticale; inoltre troviamo due omaggi ai compositori tangueros argentini Carlos Gardel e Julio Espinosa. Disco, Visage music, realizzato in solitudine, meditativo, tranne un paio di interventi di ospiti speciali tra cui Paolo Fresu in “La Morte non esiste” e il citato Hesam. Un album che più l’ascolti e più ti convince di aver fatto un buona scelta. (gfg)