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ARGENTINA libri. Maria Moreno con “El Petiso Orejudo”

2. gennaio 2025 – 12:58No Comment
ARGENTINA libri. Maria Moreno con “El Petiso Orejudo”

L’atroce storia di Santos Godino. El Petiso Orejudo, di María Moreno (Edicola edizioni), è prova della straordinaria padronanza linguistica dell’autrice, che con spirito ludico e occhio critico riesce a orchestrare una beffarda e drammatica coreografia narrativa.

Mattia Mogetti, intraprendente redattrice del Gran Malon (newsletter Edicola ed.) scrive quanto segue, che riprendiamo e ringraziamo con lo spirito di contribuire alla diffusione del libro.

L’atroce storia di Santos Godino. El Petiso Orejudo, di María Moreno, è prova della straordinaria padronanza linguistica dell’autrice, che con spirito ludico e occhio critico riesce a orchestrare una beffarda e drammatica coreografia narrativa.
Al centro della storia, Santos Godino, giovanissimo ed efferato assassino, figlio di italiani migrati in Argentina, e la comunità che lo circonda e che si trova a fare i conti con lo sgomento suscitato dai suoi crimini mentre cerca di sopravvivere e conquistare il proprio margine di libertà in una società che non lo prevede. Compassione e orrore, irrisione e scalpore, libertà e oppressione intercettano i percorsi della moltitudine di personaggi che si incontrano in queste pagine, grazie a una scrittura che non si spaventa delle apparenze né del caso né del destino. Una lettura travolgente, capace di commuovere mentre fa mancare il terreno sotto i piedi.
Per questo Malón, propone i punti di vista dell’editore Paolo Primavera e della traduttrice Francesca Lazzarato su un libro che, a cavallo tra cronaca e finzione, rimette in scena non soltanto la vera vicenda di un adolescente passato alla storia come oscuro criminale, ma anche quella di tutti noi, di comunità migranti, comunità ai margini, comunità sognanti, inventive, schiacciate da eventi e poteri piccoli e grandi, eppure sempre sopravviventi.

Editore Malon e la traduttrice   Francesca Lazzarato presentano la giornalista e narratrice argentina MARÍA MORENO

María Moreno (Buenos Aires, 1947), giornalista, scrittrice e critica culturale, è considerata una delle più grandi croniste e saggiste in lingua spagnola, con una vasta produzione di testi dedicati al femminismo. Nel 1984 fonda Alfonsina, la prima rivista femminista dal ritorno della democrazia dopo la dittatura militare. Ha scritto, tra gli altri: El affair SkeffingtonA tontas y a locasBlack outOraciónCarta a Vicki y otras elegías políticasContramarcha Subrayados. Ha vinto il Premio Iberoamericano de Narrativa Manuel Rojas, il Premio Lola Mora e il Premio Ñ. Ha ricevuto la borsa di studio Guggenheim per la ricerca su politica e sessualità nelle militanze degli anni Settanta.

La visione dell’editore Paolo Primavera:

Il libro di Moreno è un testo ad alto impatto, a tinte fortissime per una vicenda brutale e, allo stesso tempo, “sociologicamente” densa. Com’è nata la scelta di pubblicarlo e come si posiziona nel catalogo di Edicola?
Dopo il nostro primo incontro con María Moreno abbiamo subito capito che avevamo avuto la fortuna di ascoltare un’autrice che stava facendo la storia, una donna lucida, ironica e con l’evidente capacità di vedere la vita quasi attraversandola. Era il 2018 e la sala dell’università Diego Portales di Santiago del Cile, che ospitava l’incontro, penso abbia conosciuto il silenzio più devoto della sua storia. Uscimmo tormentati da nuove domande ma anche animati da un’insolita leggerezza. Quando abbiamo deciso di pubblicare María Moreno per noi è stato un momento di festa e, allo stesso tempo, ci siamo sentiti pervasi da un’enorme senso di responsabilità. María è un caposaldo della letteratura argentina e latinoamericana, una voce necessaria e fondamentale, che sa infilarsi con eleganza e ironia e con l’ambiguità di uno stile barocco ed ellittico nelle grandi verità della vita legate alla dissidenza e alla controcultura, affrontando temi che, allora come oggi, l’hanno resa un punto di riferimento per la riflessione sulla diversità. Un’autrice che come Lemebel non ha avuto mai paura a rivendicare il diritto al risentimento.Che Argentina emerge dalla storia di Santos Godino? E qual è la vostra relazione come editori con questo paese?

L’Argentina descritta con eccellente precisione sensoriale nelle pagine del Petiso orejudo è quella degli inizi del ‘900, dove gli immigrati eravamo noi italiani. Una Buenos Aires immensa e tenebrosa, una società che rifiuta con violenza ogni manifestazione di alterità, mostrificando e punendo chi vive ai margini, allontanando il diverso e additandolo come delinquente, colpevole o responsabile. Un testo tremendamente attuale, che travalica il tempo e che potrebbe descrivere perfettamente anche il nostro periodo storico. Penso sia questa la vera forza del libro, la sua capacità di descrivere l’oggi parlando dell’ieri di un paese lontano che potrebbe essere tranquillamente anche il nostro; un medium temporale e apolide che accompagna lo spettro di un essere umano che sembra incapace di accogliere il “diverso da noi”.
Il nostro catalogo in lingua spagnola è da un paio d’anni distribuito anche in Argentina, ma abbiamo già partecipato più volte al Salone di Buenos Aires e siamo rimasti sempre affascinati dall’impatto del libro e della lettura sulla società, dal fermento del mondo editoriale indipendente. Siamo molto motivati a continuare a esplorare la letteratura argentina incrociando i nostri punti di vista con quelli di colleghi che rispettiamo, un processo che abbiamo iniziato con la pubblicazione di Dio dorme nella pietra dello scrittore argentino-statunitense Mike Wilson e di Minima Mitologica della poeta, narratrice e critica letteraria argentina Rosalba Campra.

*****

La versione di FRANCESCA LAZZARATO

Francesca, il testo di Moreno è caratterizzato da ampie variazioni linguistiche e formali. Una sfida traduttiva non di poco conto. Puoi raccontare ai lettori del processo di traduzione e delle scelte che hai fatto?

Certo, non è stato semplice rendere in italiano il testo di Moreno, e per più di un motivo: 1) le costruzioni sintattiche audaci; 2) una narrazione-collage, in cui vengono molto spesso inseriti brani di giornali dell’epoca o di perizie mediche con relativi termini tecnici, oltre ai versi che inaugurano quasi ogni capitolo; 3) l’ampio uso del lunfardo rioplatense (una “lingua” vera e propria, più che un gergo) e perfino un dialogo in cocoliche, ovvero la storpiatura dello spagnolo tipica della prima generazione di immigrati italiani, una sorta di dialetto che, tra l’altro, ha avuto notevole influsso sul teatro popolare argentino; 4) i numerosissimi riferimenti a un contesto sociale e culturale lontano nel tempo e ormai scomparso, e alle relative terminologie; 5) i giochi di parole, i modi di dire, le allusioni tangueras. Un esempio tra tanti: il titolo dell’ultimo capitolo era El último orejón del tarroorejón rimanda al Petiso Orejudo, ma si tratta di un modo di dire che equivale al nostro “L’ultima ruota del carro”. Inoltre l’espressione è anche il titolo di una milonga, ed esiste, o esisteva, un gruppo rock chiamato così. Tradurre fedelmente con L’ultima ruota del carro significava perdere del tutto il gioco dei significati implicito nel titolo, che, essendo irriproducibile, è stato sostituito.

Il lunfardo non è stato un grande problema perché esistono numerosi dizionari che spiegano il senso dei diversi vocaboli, e per il cocoliche ho pensato di rifarmi all’origine dei Godino, che venivano da un paesetto vicino a Reggio Calabria; grazie all’aiuto di un’amica di Reggio, Godino padre parla dunque in un italiano calabresizzato. Le strofette all’inizio dei capitoli le ho in parte ricreate: tradurle alla lettera significava privarle di ritmo e suono, appiattendole e producendo versi zoppicanti e goffi. Mi è sembrato meglio, perciò, rispettarne il senso ma provare a dotarli di una sia pur approssimativa “metrica” italiana. Ovviamente è stato necessario un certo lavoro di ricerca per chiarire parecchi riferimenti a pratiche, usanze, luoghi e musiche della Buenos Aires primo ‘900: ma questa, per me, è sempre la parte più divertente del lavoro.

L’atroce storia di Santos Godino è un titolo profondamente radicato nel contesto in cui è stato immaginato e scritto. In che modo, secondo te, può parlare alle persone che ne leggono la traduzione italiana? Come pensi che la ricezione si distingua da quella dei lettori argentini?

Se escludiamo la vasta produzione di narrativa standard confezionata per il mercato globale dai grandi gruppi editoriali transnazionali, direi che tutto ciò che viene tradotto è ovviamente immaginato, scritto e radicato in un contesto differente da quello di chi lo legge. Ed è proprio questa differenza a motivare molti lettori (specie quelli interessati a vedere dove portano le strade meno battute), perfino quando pone ostacoli alla piena comprensione di ogni minima sfumatura. Per un lettore argentino, o per chi conosce bene l’Argentina, la sua storia e la sua cultura, il romanzo-cronaca di María Moreno è una miniera di allusioni, di citazioni, di sberleffi, di risvolti satirici e di considerazioni critiche, oltre che la provocatoria rilettura della storia patria e di una celeberrima figura dell’immaginario nazionale, reinterpretata in una chiave insolita, al di là di ogni luogo comune. Per un lettore italiano che, invece, sa poco di quel paese, il libro è una miniera di suggestioni e di spunti, un viaggio affascinante, l’occasione per entrare in contatto con altre storie e con un’altra Storia, ma anche con una parte del nostro passato, che si intreccia strettamente a quello argentino: la differenza diventa così una ricchezza e la distanza comincia ad accorciarsi.

Va sottolineato, poi, che nella buona letteratura e in ogni storia ben raccontata ci sono sempre elementi che parlano a tutti, sia dal punto di vista dei contenuti sia da quello estetico (la scrittura di Moreno è mirabile, le sue soluzioni formali sono originali e audaci, e irresistibili appaiono il suo agro humor nero, il suo gusto per il residuale, il modo in cui cuce insieme brandelli di cultura “alta” e “bassa” e fruga sotto i tappeti della storia ufficiale). Dalla storia del Petiso affiorano una quantità di temi che ci riguardano, per esempio l’immigrazione e l’uso politico ed economico che se ne fa: ed è inutile ricordare che qui gli immigrati (gli invasori, i potenziali “delinquenti”, i diversi) non vengono dall’altra riva del Mediterraneo, ma sono italiani che attraversano l’oceano, spingendosi fino a un paese ricco come la lontana Argentina, per sfuggire alla povertà estrema delle nostre campagne. La stampa che costruisce e getta in pasto al pubblico il mostro del giorno (un procedimento oggi dilatato fino all’esasperazione dai social media), la gestione poliziesca e autoritaria, da parte delle istituzioni statali e mediche, del disagio, della malattia mentale e dei corpi subalterni o considerati “devianti”, la retorica sull’infanzia innocente e angelicata e, in parallelo, lo sfruttamento del lavoro minorile, e infine la fascinazione che ci trattiene, volenti o nolenti, davanti allo specchio scuro del delitto… Tutto questo non può non suscitare echi anche in un lettore non argentino. In qualsiasi lettore, direi.

Grazie a Mattia Mogetti e Edicola Edizioni

(da El Gran Malon, newsletter Edicola Edizioni, 31.12.24)

L’atroce storia di Santos Godino. El Petiso Orejudo

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